Quest’uomo é un bocciofilo. Viene da tutti chiamato Gigi, e il suo vero nome é custodito gelosamente,come una reliquia, dai pochi che ne conoscono il segreto. Magro,il volto scavato, su cui campeggia l’ombra di un mozzicone di sigaretta che ha lasciato l’impronta, come l’acqua sulle rocce dopo millenni di fluire ininterrotto. Una discreta -per gli standard della Costa- croce d’oro emerge fra le rade ciocche bianche che ornano lo sterno prominente, erto fra le bretelle di una canotta blu, che a metterla in un barile d’acqua ci puoi fare la salamoia per quintali di acciughe. Gli occhi,di un azzurro brillante, luccicano fra due fessure i tagliate nel duro cuoio del viso, e guardano -quasi rapaci- il boccino. Al suo turno, in un silenzio sacrale, curva appena la lunga schiena ossuta, piega il ginocchio e lentamente muove il braccio, un gesto che pare emergere dalla roccia, da millenni di riti ormai consumati. Infine, a compiere uno sforzo che appare drammaticamente insufficiente -eppur inane!- il polso scatta, come se la cartilagine delle giunture si piegasse fino a spezzarsi all’improvviso, e la boccia intraprende il suo viaggio mistico. I presenti trattengono il fiato; alcuni mormorano una preghiera fra i denti. Una donna piange sommessa. La boccia rotola lentissima sulla terra battuta, inesorabile ma destinata a lenta agonia. Troppo lenta, troppo debole. Possibile che il Maestro, l’Unico, colui cui i bocciofili, da Lerici a Orbetello, rivolgono solo l’appellativo Lui, con la maiuscola, abbia fallito? Ma la boccia sale ostinatamente sull’argine stondato, si arrampica fin quasi a fermarsi. E riparte. Con energia rinnovata discende il bordo della pista, compiendo una traiettoria ellittica giottesca, e carezzando le bocce gialle va a sfiorare il boccino, fermandosi. L’eucarestia che si rinnova. Un cieco dalla nascita, presente al compiersi del miracolo, vede.
Se questo é un bocciofilo
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