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Cina, diarreee e Renzi

le tre golePrima di andare in Cina, nell’estate del 2006, con Paola andammo a parlare con un amico di amici che ci era già stato: visto che il viaggio non era stato preparato praticamente in alcun dettaglio, ci parve una buona idea. Soprattutto, credo, parve una buona idea a chi ci stava attorno: noi, inebriati dalla cosa, non è che ci si fosse posti grandi problemi e s’era deciso e organizzato il tutto un paio di settimane prima della partenza.

Lui, un dottore che si era specializzato in agopuntura e che era stato diverse volte nel Regno di Mezzo, ci parlò abbastanza a lungo di quello stato e di quel popolo che tanto lo affascinavano. Concluse poi con alcuni avvertimenti, e con un monito abbastanza chiaro: “Considerate che in Cina non è facile: vi ci vorrà una mattinata intera solo per comprare un biglietto del treno”.

Dentro di me, forte della mia presunzione e del mio provincialismo, pensavo: “Ti ci sarà voluta a te una mattinata intera: io son stato boy scout, ho vissuto in Albania, ho dormito per terra fuori della stazione di Atene e al porto di Igoumenitsa, mi son fatto 60km di sterrata nel cassone di un pickup reggendomi ad una corda nelle alpi dinariche, mi sono fatto Antalya-Villapiana Scalo in 4 giorni da solo usando tutti i mezzi di trasporto conosciuti: figurati se mi ci vorrà una mattinata, a me”.

Puntualmente, a Pechino, mi ci volle un’intera mattinata per fare un biglietto del treno, ed ero già in Cina da quasi una settimana.

La mia impreparazione mi costò alla fine solo qualche chilo, un paio di diarree e tanto tempo perso. Che poi il tempo perso non fu: viaggiammo con lentezza, insieme a qualche altra decina di migliaia di cinesi, con i loro ritmi e – quasi, devo ammetterlo – con le loro scomodità, vedendo pochi occidentali e tanta Cina: perso non fu, anzi.

La mia paura è che Renzi, che si sente molto più ganzo di quanto mi sentissi io, che è stato boy scout, che ha fatto le scarpe a D’Alema e compagnia, che ha fatto il mestiere più bello del mondo e il secondo mestiere più bello del mondo, che parla di dolore e di sogni ma che, fondamentalmente, sa-una-sega-lui, dall’avventura romana che sta percorrendo a passo di marcia magari ne uscirà con gli stessi chili addosso e senza una diarrea che sia una: quel che mi preoccupa è come ne usciremo noi.

Pendolarismo

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Al confine fra l’Austria e la repubblica ceca, dove un tempo era stata stesa la cortina di ferro, sulla strada che collega Vienna e Praga, ora c’è un piccolo paradiso per disperati, un po’ da tutti i punti di vista.
È infatti tutto un fiorire di bordelli, case da gioco, casino, stesi a ridosso del confine, appena entrati in suolo ceco (non-slovacco, usando un termine più politically correct). Non mancano però le attrazioni anche per i più piccini, che possono così svagarsi mentre papà va a donnacce, mamma si obnubila davanti alle slot machine, e nonno si gioca la pensione al Chemin-de-fer (chissà se si scrive davvero così).
Tutto questo è rigorosamente per austriaci, che in poco tempo possono avere accesso a tutta una teoria di piaceri proibiti in patria.
Mi si stringe il cuore, per gli uni, che devono far le cose di nascosto, e per gli altri, che si svendono così.
La donnina della pompa di benzina, comunque, ha ampiamente ripagato la mia inutile compassione facendo una generosa cresta sul cambio.

Barilla

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Tornando a Firenze per uno striminzito fine settimana, mi trovo a ragionare – superficialmente come mio solito – sulla relatività del concetto di “casa”.
Lascio Vienna, nella quale mi sto trovando tutto sommato bene, ma che ancora è ben lungi – e temo lo resterà – dall’esser considerata “casa”, per tornare a Firenze, che invece “casa” è.

Eppure, ben poche volte mi ha seccato così tanto partire.

Ho sempre amato partire, il frizzante sapore della partenza, l’ignoto che sta in ogni viaggio. Il treno di notte poi è per me un luogo magico. Il puzzo del treno, della ferrovia, metallico, il to’to’ttoto’ dei binari, l’essere un po’ sbatacchiati e cullati assieme.
L’intimità coatta, gente che non hai mai visto che scoreggia, si sveglia disfatta. Gli incontri improbabili, la solidarietà di chi non dorme e popola i corridoi. Le pecore nere, quelli che russano, puzzano, piangono. Quelli che hanno un sacco di bagagli.
Le città che passano, le luci, i passaggi a livello.
La bestia nera d’ogni viaggio in treno, la scolaresca, peggio se americana – che bevono.
I controllori, che vegliano tutta la notte, e alla fine fanno da genitori a tutti i passeggeri.
Il treno di notte è una meraviglia.
Ma lo stesso mi girano i coglioni, ho un po’ di magone, di malinconia.

Sarà che lascio Peppotto e la Molino, e dove loro sono, ormai, casa mia sta.