Il travagliato rapporto fra il mio buon Acciai e Fitto mi ha pungolato.
Un giorno d’inverno, in una strettoia, s’incontrarono due contadini sulle loro slitte. Il primo disse: “Spostati su, ché fa freddo e io devo andare al mercato a vendere la mia roba!”.
“Spostati tu – ribatté l’altro – ché fa freddo, sono stato tutta la mattina al mercato e ho fretta di tornare al calduccio dalla mia famiglia!”.
E così stavano a litigare in mezzo alla strada.
Passò un terzo che disse loro: “Chi ha più premura, si faccia indietro”.
Questo racconto russo, non ricordo di chi sia – ed era sicuramente scritto molto meglio – mi ha colpito sin dalla prima volta che, bambino, l’ho letto.
Il litigio in contumacia fra Enrico e Raffaele, come tutti quelli fra gli italiani in questi ultimi vent’anni, mi ricordano sempre questi due contadini.
Non pensiate, però, che io mi ritenga al di fuori di questa logica: mio malgrado ne sono invischiato anch’io.
Anche io schiumo di rabbia. Non riesco più a guardare un pollaio politico in TV: semplicemente non ce la faccio.
Una volta vidi a ottoEmezzo quella sottosegretario pdl tanto-per-bene che non mi ricordo mai come si chiama, la Casellati (son dovuto andare a vedere). Avevamo ancora i postumi della barzelletta di Berlusconi sulla mela, con cui deliziò la delegazione di fedeli a Palazzo Grazioli, mi pare. E io pensavo: “Ma perché una signora che potrebbe essere mia madre si deve ridurre a difendere un indifendibile ed impresentabile maschilista gretto volgare vecchio maniaco?”
E tuttavia queste considerazioni partono da un primo, irrinunciabile assioma: noi, che siamo quelli buoni, bravi e intelligenti, abbiamo ragione, gli altri, che sono coloro che votano Berlusconi, hanno torto, o comunque sbagliano.
Di questo passo andiamo poco lontano.
Anche io mi chiedo ad esempio cosa possa dire Capezzone ai propri amici più cari, quelli che ti conoscono, che ti vogliono bene, che sanno chi sei. Di cosa avranno parlato dopo che da radicale è diventato portavoce di Berlusconi? Di fica?
Eppure io sono convinto, e ogni giorno cerco di ricordarmelo bene, perché è un insegnamento difficile, che la ragione non stia mai da una sola parte, e che dunque il mio assioma sia sbagliato.
Credo che ci sia perlomeno una cosa infatti che accomuna me e una persona che – in buona fede – vota Berlusconi (a parte il fatto che condividiamo la chimica del carbonio): entrambi non sbagliamo. E soprattutto, gli italiani non sanno sbagliare.
E sbagliare è un’arte impegnativa.
Se riuscissimo tutti a sbagliare, ovvero a capire in cosa sbagliamo, e ad accettarlo serenamente, facendo un passo indietro, le cose credo ricomincerebbero a funzionare.
E loro potrebbero tornare a casa, ché sono stati al mercato negli ultimi dieci anni, e noi a portare la nostra roba al mercato, che le mele succulente che abbiamo raccolto a Milano questa primavera stanno per andare a male.