Capitani coraggiosi

21 anni fa, di questo periodo, moriva, dopo che mia madre l’aveva aiutato a farsi il segno della croce e dunque, in virtù di questo, serenamente, mio nonno Vincenzo. Oggi avrebbe 106 anni.
Doveva in realtà chiamarsi Guido, ma il parente o chi per lui che andò all’anagrafe si dimenticò il nome, e pensò che Vincenzo andasse benissimo.
Era l’ultimo figlio di una famiglia palermitana di capitani di marina.
Da piccolo, quando stava per cominciare la prima guerra mondiale, andava al porto a vedere i bastimenti che arrivavano, e poi andava a riferire a suo nonno, quasi cieco da tempo, che si faceva ripetere la stazza delle navi alla fonda, ripetendo incredulo cifre che, per un uomo abituato alle vele e non al vapore, non potevano essere comprese.
Mio nonno, mi concedo una licenza, recitava con serietà la sua parte, nel grande palcoscenico della vita. Era meridionale, e per questo si sentiva in dovere di essere ferocemente geloso e attaccare – letteralmente – al muro chiunque indugiasse a suo avviso un po’ troppo sulle forme di mia nonna. Era siciliano, e dunque piuttosto maschilista. Era un marinaio, e aveva amiche in ogni porto. Era capitano di marina, e dunque monarchico. Era anche uomo all’antica, che credeva nella dignità dell’uomo.
Passò il tempo, durante il secondo conflitto mondiale, ad incrociare nel mar mediterraneo. Mi raccontava, con la voce austera gelida nel suo disprezzo, di come gli inglesi passassero con la mitragliatrice i naufraghi in balia delle onde, a dispetto di tutte le leggi del mare, e di come una volta, interrogando in merito a questo un capitano anglosassone prigioniero, per l’appunto raccolto in mare, si sentì rispondere “È la guerra”. Mi raccontava di Cipro, di Creta, di Gibilterra; di come una volta avesse sentito, nel silenzio assoluto, i denti di un sottoposto che battevano forte dal terrore, mentre in una notte buia aspettavano il bombardamento, in mezzo al mare.

Che io sappia non ha mai fatto naufragio, l’unica volta in cui lo avrebbe fatto fu chiamato appena in tempo, mentre saliva la passerella di una nave che sarebbe stata colata a picco subito fuori dal porto di Palermo (nessun superstite), perché sua madre era morta. Una sorta di salvataggio in extremis, verrebbe da pensare.

Non so cosa farei io se fossi il capitano di una nave grande come un comune e tale nave stesse affondando. Non so se avrei il coraggio di restare a bordo a coordinare i soccorsi col rischio di crepare. Non so, soprattutto, se avrei il coraggio di far tutto questo dopo aver fatto un’immane cazzata, per altro concordata con la compagnia.

Non so nemmeno cosa avrebbe fatto mio nonno. Però ho alcune convinzioni. Non credo che mio nonno sarebbe passato così vicino ad un’isola. Credo però che probabilmente nemmeno la compagnia gli avrebbe chiesto di farlo per rendere felici i menefreghisti a bordo, che consumano paesaggi come fossero popcorn, e li vogliono vedere vicini. Non credo che mio nonno avrebbe lasciato la nave, la sua nave.

Oggi il senso dell’onore, della dignità di un uomo, il senso del dovere, sono tutte cose che, in Italia, sono considerate da sfigati, da perdenti, da piglianculo.

Mio nonno, con tutti i difetti che poteva avere, era un uomo che credeva nella dignità dell’uomo e nel suo onore. Per questo era capace di vegliare, già vecchio, suo nipote in vece di sua figlia stremata dalla stanchezza, e la mattina esser di nuovo pronto a farlo, e a farlo ancora, senza mostrare il minimo segno di stanchezza, come fosse la cosa più normale del mondo. Perchè, per lui, in effetti era la cosa più normale del mondo che un uomo si comportasse così.

C’è tanta voglia di eroi, in Italia, basti guardare il buon De Falco e come sia stato incensato.

Cosa lascia perplessi è  che l’italiano di oggi desidera ardentemente che l’eroe ci sia, ma che non sia lui stesso: d’altra parte perché proprio lui?

2 pensieri su “Capitani coraggiosi

  1. Rossana

    Giacomo, leggo con stupore la dovizia di particolari dei tuoi ricordi sul nonno e mi fa piacere che tu l’abbia pensato e scritto così. Concordo con Camilla, tu gli somigli molto nei tratti e nell’intelligenza. Aggiungo che il nonno, dietro la severità e l’eleganza dei modi, nascondeva i pensieri di un sognatore e volava leggero sulla linea dell’orizzonte più volte accarezzato nei suoi viaggi. La sua riservatezza non gli impediva di raggiungere in silenzio il punto di incontro con chi necessitava di aiuto, di conforto o solo di considerazione e di fermarsi per quanto la situazione lo richiedesse. Invecchiando mi rendo conto che è una dote indispensabile.
    Ma

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