Nella foto é possibile notare la frontiera italo-slovena, per altro ormai desueta, visto il recente ingresso degli sloveni in UE. Tuttavia, per decenni e decenni, nel panorama che si può vedere da sopra Trieste era come se ci fosse un taglio, netto e profondo per alcuni, lacerante per altri, inquietante e carico di misteriose minacce per altri ancora, piccolo intoppo per pochi. Per quanto mi sia sforzato, confini non ne riesco a vedere. Eppure, sull’atlante, per me questo territorio é sempre apparso sul bordo, come un bicchiere che sta per cadere giù da un tavolo, come se gli abitanti fossero funamboli sospesi sul vuoto del mondo oltrecortina. E la stessa sensazione mi ha preso mentre Paola mi guidava da Muggia attraverso uno dei lembi più remoti del nostro stato. Ma la frontiera per me é solo un patimento. Immagino questi poveri popoli di confine, magari separati all’improvviso dai parenti o dagli amici (talvolta addirittura divenuti in un attimo i Nemici), che non parlerebbero probabilmente né italiano né sloveno, ma un loro dialetto meticcio; e invece, da una parte del filo rosso dovevano essere e parlare italiano, dall’altro lo sloveno. Certo, col passare del tempo gli stati nazionali hanno imparato a riconoscere l’importanza delle cosiddette minoranze linguistiche, ma non basta. è lo stato nazionale di per sé che, secondo me, é una cacata inutile.
le frontiere
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