Sono ospitato in un centro di ricerca internazionale, fra i cui membri ovviamente l’Italia non figura.
Durante l’estate il centro si popola di studenti un po’ da tutto il mondo, e questo riempie abbastanza le stanze, per cui per me posto non ne è stato trovato. Per lo meno non insieme al gruppo cui faccio riferimento.
Il centro ha il quartier generale (così dicono loro) in un bel castello austriaco, che si affaccia su una piazza immacolata a nord e un parco enorme, altrettanto immacolato, a sud. Sulla piazza c’è anche un timido municipio ed una chiesa, ben più disinvolta. Ma ovviamente è il castello a farla da padrone; d’altra parte fra impero, democrazia e chiesa, il gioco delle parti quassù mi pare sia questo.
Il centro è suddiviso in aree, ognuna con la sua storia, i suoi aneddoti e le sue corti dei miracoli. In Italia, sarebbero sorte faide e lotte mortali fra le varie aree, qui se ci sono attriti si ignorano – al massimo. I più ardimentosi ed emancipati sfottono.
A me mi hanno proposto la torre.
Ora, devo confessare che ho sempre desiderato stare in una torre.
Purtroppo l’ambiente, seppure fosse adibito a sala dei giochi per i rampolli della famiglia imperiale, è un tantino malsano: feritoie al posto delle finestre, umidità, pareti ricoperte da graziosi (orridi) affreschi georgici di dubbio gusto, che altro non fanno se non togliere luce. Da qui il nome “Regno dell’oscurità”, che sale alla bocca spontaneo, lasciando l’ascensore…
Inoltre, il mio ufficio in realtà è stanza di passaggio, sia per gli sportivi che optano per la scala a chiocciola, disdegnando l’ascensore anni 70, e che aprendo la porta in cima alle scale trovano me, sia per quei – pochissimi – che espletano i proprio bisogni corporali in orario d’ufficio: il cesso infatti si affaccia pure (gran comodità, va detto) sul mio ufficio.
La torre è abitata da una folta comunità sino-giapponese (i primi a volte usano il bagno, i secondi mai), un europeo – direi olandese, e frequentatori occasionali, fra cui anche turisti.
L’olandese si dimentica – tutti i giorni che dio mette in terra o quasi – che l’andito è ora abitato, e tutti i giorni – o quasi – prende la scala, apre la porta, si spaventa abbastanza rumorosamente, si maledice, stringe i pugni per la stizza e poi attacca a scusarsi più e più volte, mentre – goffamente – abbandona la scena. Questo simpaticissimo teatrino si ripete – ormai in modo imbarazzante – almeno due/tre volte a settimana, tanto che comincio a pensare che sia un modo garbato e pittoresco di farmi capire che sarebbe gradito se mio levassi dai coglioni, ma fino a settembre, ahiloro, non se ne parla!
In ogni caso, devo dire, sono consapevole dell’immane botta di culo che ho avuto ad essere ospitato là, sia ben chiaro!
E poi, quanti di voi lavorano in una torre di un castello da sogno?