L’andirivieni di anime in cerca di rassicurazione indigna a morte un giovane frate agostiniano, dottore all’università di Wittenberg. Non può tollerare l’osceno mercato messo in piedi da Tetzel, con stemma e bolla papale in bella vista.
31 ottobre 1517, il frate affigge alla porta settentrionale della chiesa di Wittenberg novantacinque tesi contro il traffico delle indulgenze, scritte di suo pugno.
Si chiama Martin Lutero. Con quel gesto ha inizio la Riforma.
Questo é l’inizio di Q, uno dei libri più strepitosi che mi sia mai capitato di (ri)leggere.
E mi fa pensare alla costruzione sociale dell’eroe, del personaggio storico, del deus ex machina, comune un po’ a tutte le culture e società , e forse intrinseco alla natura umana. Altri lo hanno studiato ben più autorevolmente prima di me, altri con maggior successo lo faranno dopo.
E tuttavia mi va di riflettere su come, chissà forse per pigrizia, per semplicità , per limitatezza, si fissa un processo lungo secoli in un gesto, si incarna un movimento in una persona, si cristallizzano sforzi singoli e collettivi in un unico, maestoso, gesto fondante e fondativo che apre, che inaugura, che inizia.
Eppure, come notava Vandana Shiva, é l’ultimo di una serie di gesti, é l’ultimo di una serie di uomini.
Senza i mille, i milioni prima di lui o di lei, senza nome, senza volto, che hanno compiuto gesti propedeutici e che, soprattutto, hanno a loro volta compiuto lo sforzo interiore necessario a fare un ulteriore passo, senza la chiarezza del risultato magari, senza la gloria degli arditi, il gesto fondativo non sarebbe stato, in nessun modo.
Con che coraggio, allora, con quale superficialità si attribuisce la riforma luterana a Lutero? Solo perché ha avuto, lui e non un altro suo compagnuccio di biblioteca, il coraggio di affiggere quelle tesi ad una porta?
Senza tutti i misteriosi Lutero che lo hanno preceduto, che lo hanno più o meno consapevolmente accompagnato negli studi seminando in lui il seme della critica, che gli hanno preparato il terreno, nulla avrebbe potuto Lutero.
Staremmo tutti molto meglio, se imparassimo a riconoscere nei nostri singoli gesti quotidiani la Storia che si fa realtà , il cambiamento che si incarna nell’azione.
Se riuscissimo a leggere negli sforzi che quotidianamente ci rifiutiamo di fare, per paura, per pigrizia, per l’impossibilità di vederne il risultato, il germe del futuro che sognamo che contribuiamo in quell’istante a costruire, il mondo andrebbe certo meglio, e noi saremmo persone più felici.