Archivio della categoria: Musica

Giacomo musicista – underground!

procofano - chiave a brugola

procofano – chiave a brugola

M. e M. mi erano vicini di casa, relativamente al luogo in cui vivevamo, ovviamente. Questo vuol dire che c’erano solo 1.7 km a piedi fra casa mia e casa loro, passando per vigneti, campi e strade sterrate.
Si suonava in un appartamento sfitto di una colonica, accanto a casa di uno dei due M., dove non si disturbava nessuno, piuttosto fatiscente, ma perfettamente atto allo scopo. L’altro M. viveva poco più a valle.
Uno é batterista, l’altro bassista. Entrambi sono a modo loro dei geni della musica.
Possiedono -spero ancora, visto che li vedo pochissimo e non suono con loro da anni ed anni- un tocco blues-jazz-funk innato che ha dell’incredibile.
M. bassista suonava anche la chitarra, e mi insegnava pazientemente, o meglio cercava, il tocco funk, visto che io ero piuttosto zappatore, sul ponte.
Ricordo ancora l’ebbrezza che provai la prima volta che mi fu insegnato il misteriosissimo ed affascinante “power chord”, una minchiata sproporzionata che il grunge utilizzava a man bassa e che io volevo a tutti i costi imparare.
Ricordo l’emozione violenta del suono distorto, portato al massimo consentito dal Marshall 40W valvolare che l’incidente di cui a questo post mi aveva permesso di comprare (d’altra parte avevo ragione io, e fra gesso e convalescenza mi presi una sommetta risibile, ma sufficiente per ampli e chitarra). Era una proto-sensazione di onnipotenza, che si concretizzò mesi dopo quando, nella stanza completamente vuota dei miei genitori (si dovevano far dei lavori e quindi era stato levato tutto), la più grande della casa, saggiai i limiti del 40W…Mia cugina A., che viveva al secondo piano, esattamente sopra quella stanza, mi disse che tremavano le cose sulla sua scrivania. Era come star dentro una cassa di una chitarra a volume incredibile, delirante. Un puro godimento.
Con M. ed M., per tornare al tema del post, si suonava la sera, o a partire dal tardo pomeriggio, e si andava avanti parecchio, facendo di tutto, suonando di tutto. A volte riuscivo a seguirli nelle loro folli improvvisazioni, a volte semplicemente mi fermavo e ascoltavo.
Fu un periodo breve ma molto utile, e ancora ho nostalgia del loro suonare.
Con loro ci fu la prima esibizione pubblica, al teatro delle Caldine, con altri scalcinatissimi gruppetti giovanili. La nostra formazione si chiamava “Procofano” e faceva punk-rock-funk, direi a occhio e croce. Il nostro cavallo di battaglia era la canzone “Chiave a brugola”, con un giro merdosissimo, ma ricco di improvvisazioni e variazioni dei due M.. Io, ovviamente, proseguivo imperterrito col giro, che altro non sapevo fare.

Nuovo nome – sito nuovo

gli Oscar Air-co

gli Oscar Air-co

Il mio complesso, la band, ha deciso di cambiare il nome: da Lo’Jammat a Oscar Air-Co.

Se siete curiosi di sapere come mai abbiamo scelto un nome del genere, potete visitare il nuovissimo sito del gruppo, che trovate qui

e che, come potrete agilmente notare, é di pregevole fattura, nato dall’armoniosa fusione del gusto del bassista olandese più la padronanza ormai epidermica del sottoscritto in materia di codici e similaria.

Se poi vi va, venite pure al concerto.

Lo’Jammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

LoJammat

Ebbene sì, suono in un gruppo musicale, ho il complessino, “the band”.

Siamo in 4, col Bombi ci suono da più di dieci anni, da quand’ero piccolo, da quando ha scoperto che é proprio il pedale della grancassa a produrre quei suoni, e non il timpano, insomma, dal tardo autunno 1996, quando siamo andati da Checcacci e, tutti insieme, abbiamo preso a nolo la peggior batteria che avevano da dare. Un aggeggio rosso, il cui charleston il Bombi stesso provvide a sfondare non troppo tempo dopo. Il bombi, per chi non l’avesse capito, é il batterista, a mio avviso uno dei migliori in circolazione. Suona un po’ come se fosse un polipo, una valanga, una caduta massi, e restano ben poche frequenze a disposizione.

Mathijs é arrivato per secondo, l’ho trovato che faceva il coinquilino a casa della (allora) ragazza di un mio caro amico, ho visto il basso e gli ho proposto di venire a suonare con noi, o comunque a provare, prima ancora che mi fosse noto il suo nome. Non so per lui, ma per me é stato amore al primo accordo.

Andrea é arrivato per ultimo, é un cantante atipico. Non rompe i coglioni se gli si fa un appunto. Non fa scenate isteriche né da giù di testa se si fa presente che una linea vocale non piace. E’ entusiasta é indubbiamente é il PR del gruppo. E’ l’unico di noi cui siano stati gettati, durante un concerto, indumenti intimi femminili addosso, con discreta mira e perizia. Per altro tirati da donne, credo che voglia dire qualcosa.

La musica che facciamo la sentirete, prima o poi si aprirà  un sito, appena riusciamo a trovare un grafico, un webmaster, un tecnico del suono e un addetto stampa.

Per intanto piazzo un paio di foto, così capite che gente siamo.

and the radioman says…

the screenwriters blues

the screenwriters blues

é il videoclip della canzone Screenwriter’s Blues dei Soul Coughin, un gruppo statunitense di Chicago.

Trovo questa canzone, un unico giro ripetuto all’infinito, evocativa come poche – la ascolto spesso, in questo periodo, mi fa pensare a splendidi viaggi, di notte, in macchina. Come quello che la prossima primavera spero di fare a Roma. Una notte in giro, in macchina, per la capitale. Una notturna.

E questo é il testo della canzone.

Exits to freeways
wisted like knots on
the fingers
jewels cleaving
skin between
breasts.
Your Cadillac breathes
four hundred horses
over blue lines
you are going
to Reseda
to make love
to a model
from Ohio
whose real name
you don’t
know

you spin
like the cadillac was
overturning down a
cliff on television
and the radio is on
and the radioman is speaking
and the radioman says
women were a curse
so men built Paramount
studios
and men built Columbia
studios
and men built
Los Angeles

it is 5 am
and you are listening
to Los Angeles

And the radioman says
it is a beautiful night out there!
And the radioman says
Rock and Roll lives!
And the radioman says
it is a beautiful night out there
in Los Angeles
you live
in Los Angeles
and you are going to
Reseda; we are all
in some way or
another going to
Reseda someday
to die
and the radioman
laughs because
the radioman fucks
a model too

Gone savage
for teenagers with
automatic weapons and
boundless love
gone savage for
teenagers who are
aesthetically pleasing
in other words
fly
Los Angeles beckons
the teenagers
to come to her
on buses;
Los Angeles loves
love

it is 5 am
and you are listening
to Los Angeles

I am going to
Los Angeles
to built a screenplay about
lovers who
murder each
other
I am going to
Los Angeles
to see my own
name on a
screen, five feet
long and luminous
as the radioman says
it is 5 am
and the sun has charred
the other side of
the world and come
back to us
and painted the smoke
over our heads
an imperial violet
it is 5 am
and you are listening
to Los Angeles.

You are listening.
You are listening.
You are listening.
You are listening.

giacomo musicista – gli inizi

gli esordi

gli esordi

“ma scusa, suoni la chitarra e allora per questo ti pensi di essere un musicista?”, mi chiedeva incredulo, fra il serio e il faceto il mio professore della tesi.

Personaggio su cui scriverò, se lo merita.

Non ha certo tutti i torti. Comunque credo di essere un musicista. Insomma, suono la chitarra dal 1995, anche se un mese dopo che avevo cominciato ho pensato bene di sfracellare la mia amatissima vespa bianca 125 px contro un’alfa 33 che faceva inversione a U. La vespa se la cavò con la forca cambiata, io, tirando via il freno della frizione, mi ruppi per compressione uno dei mille ossicini che stanno incastrati fra palmo e dorso della mano; dovetti rompere il gesso per liberare almeno l’anulare (il mignolo era fuori discussione e gioco) e poter fare un qualche straccio di accordo.

In realtà  gli accordi, almeno all’inizio, erano i quattro che mia cugina A. mi aveva pazientemente insegnato per poter suonare autonomamente “Polly” dei Nirvana. Cosa che facevo per due-tre-quattro ore tutti i pomeriggi che dio metteva in terra, come potrà  confermare quel santo di mio zio che all’epoca -temo- stesse cercando di finire l’università  nonostante me, che stavo proprio sotto il suo studio, e pure i miei genitori, che invece condividevano solo l’intera casa con me.

In realtà  non la suonavo tutta, essendoci un barrè (il fatidico si maggiore) nel ritornello. Esauriti gli spunti di “Polly”, o meglio della strofa, e anche quelli offerti da tutte le canzoni che possano essere suonate conoscendo il mi minore, il sol, il do e il re, dopo un paio di mesi annunciai a mia cugina che volevo intraprendere il tortuoso percorso degli accordi barrati. Fu un periodo difficile, ma anche ricco di soddisfazioni. Mio zio -da sempre il mio guru musicale-, mi dette un libro per aspiranti chitarristi con cui si liberò quel tanto di me che gli consentisse una vita normale e, soprattutto, delle mie domande. Lasciò come appuntamento -in fondo era contento che suonassi la chitarra- una suonatina assieme, dalle due alle sette volte settimanali: per me un’autentica delizia. Nel frattempo avevo imparato a ritrovare gli accordi delle canzoni da solo (ascoltavo in pratica solo Nirvana, e non era difficile nel loro caso) e quindi avevo del materiale.

Verso giugno ero in grado di offrire un supporto decente per qualsiasi bivacco scout, cosa che per un egocentrico va benissimo.

In questo periodo cominciai a frequentare M. e M., due vicini di casa, batterista e bassista rispettivamente. Di loro, dirò in seguito.

G