Ricordo una volta, eravamo con Paola, verso Pasqua. Una di quelle “fuitine” che solo da universitario ti puoi permettere davvero. Eravamo andati in Belgio e Olanda, dopo un anno burrascoso di grandi dolori e grandi soddisfazioni, per dirla alla francese. Avevamo noleggiato una twingo verdastra da un simpatico e piuttosto vecchiotto belga di Brussel (che in seguito ci aveva premurosamente girato una multa minacciosa -per i toni- da autovelox della polizia olandese). Dormivamo in un grazioso e deserto ostello in Belgio, al confine con l’Olanda, su un canale fiancheggiato da una fila infinita di mulini a vento, quelle imponenti costruzioni donchisciottesche che placidamente girano le pale. A me piacciono moltissimo. Era uno di quei posti in cui terra e acqua non sono ben definite: coste frastagliate, foci, fiordi, paludi. Non si capisce bene cosa sia cosa. Una delle notti che dormivano là , ci siamo spinti ardimentosamente in Olanda (ce ne siamo accorti per via dei cartelli). Al ritorno, era tardi e decidemmo di traversare un braccio di mare, che non ricordo se fosse un fiordo o la foce di un fiume, con un traghetto. O meglio, una chiatta. Il ricordo é completamente occupato dalla scena che vidi dal ponte di quel traghetto, mentre mi fumavo una benedetta sigaretta, Paola rassegava in macchina per via di qualche linea di febbre e il vento mi gelava la pelle del viso.
La nave, per via di una stranissima luce notturna diffusa dalle nubi (dietro cui immaginai campeggiasse una luna ben pasciuta), sembrava navigare su un deserto di sabbia scintillante. Quasi non si sentiva lo sciabordio dell’acqua, la superficie appena increspata da piccole onde tutte uguali, come la sabbia nel deserto, il fragore del vento come annichilito da tanto spettacolo. La sigaretta, forse anche per via delle folate, mi si spense fra le dita quasi senza combattere.
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