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Il Trombi s’è dato alla politica

testata_FB_handcari i miei lettori,

come forse avrete udito mi son dato alla politica, e corro come capolista di “Firenze a Sinistra con Tommaso Grassi” alle elezioni per il Comune di Firenze in programma per il 25 Maggio 2014.

Chi fosse interessato può seguirmi sul sito preparato ad hoc per la campagna elettorale che trovate qui

https://www.giacomotrombiperfirenze.it

se volete darmi una mano, ve ne sarò estremamente grato: le cose migliori che possiate fare sono

  1. [se votate a Firenze] votarmi, facendo una croce su “Tommaso Grassi” come candidato sindaco, una croce sul simbolo di “Firenze a Sinistra con Tommaso Grassi” e scrivendo accanto GIACOMO TROMBIADRIANA ALBERICI (il mio ticket elettorale, di più su di lei qui)
  2. facendo sapere ad amici e conoscenti (meglio se votanti a Firenze, ovviamente) che mi candido e che mi sostenete, ed invitandoli a fare altrettanto
  3. facendovi piacere la mia pagina Facebook https://www.facebook.com/GiacomoTrombiperFirenze ed invitando tutti i vostri contatti di Facebook a farsela piacere
  4. seguendomi su twitter, su google+ e su youTube

Grazie

Pulpen Ficktion

Ah, Vienna.
I viali alberati, vecchi Caffè pieni di specchi e vecchie signore, i palazzi imperiali, i giardini, il Danubio che scorre, la neve nei vicoli del centro.
E come dimenticare le Fiaker, le gloriose carrozze che portano entusiasti turisti per gli acciottolati del centro?
In realtà questi residuati dell’Impero ben poco hanno di romantico, ma sembrano dimenticarlo le migliaia che ci si gettano quotidianamente.
I cavalli, ronzini male in arnese con le orecchie perennemente inguainate in delle specie di preservativi bianchi di stoffa (ovviamente luridi), passano la maggior parte del tempo libero a fare le uniche due cose che possono fare: cercare di mordersi vicendevolmente e cacare.
I vetturini sono tutti dei brutti ceffi, la pelle bruciata dal sole, rovinata dal fumo e dall’alcol, con una bombetta dalla forma piacevole, ormai lisa e bisunta, calcata sui capelli. Le braccia sono quasi sempre ricoperte di tatuaggi, ma si noti che non sono né attualissimi tribali, né dragoni o carpe, e nemmeno ideogrammi: bensì quei fregi fatti a mano, nomi di donna, volti, cristi e madonne, che solo marinai e galeotti sfoggiano. Mancando il mare a Vienna…

Pare infatti che nei tardi anni ottanta siano cominciati ad arrivare i Russi, malavitosi agguerriti e preparati, che hanno in breve tempo estromesso le bande locali (tutta brava gente, artigiani senza esperienza di mondo) dalle loro attività più tradizionali: le donne, il gioco d’azzardo, un po’ di droga.
I disgraziati, per potersi permettere le merci che un tempo distribuivano, hanno usato tutta la loro frustrazione per potersi imporre sui vecchi vetturini, il cui lavoro offriva l’enorme vantaggio del pagamento, in nero, a cadenza giornaliera, da sputtanarsi la sera stessa.
Grande preparazione non serve, infatti, per biascicare due minchiate su Sisi a distratte famiglie di americani. E comunque, alla fine, il servizio loro più richiesto è di chiudere il guscio della Fiaker per poter consumare una trasgressivissima sveltina per le vie di Vienna. E se c’è una cosa in cui questi gangster in disarmo sono eccelsi, è tener la bocca chiusa e far finta di nulla.

Loro sono armati: di manico

Bossi se n’è andato, ha lasciato la guida del partito più vecchio attualmente in vita nella scena politica italiana, che teneva saldamente, o nelle proprie o nelle mani della sua famiglia, da due decenni.

Esce di scena un personaggio rozzo, nei modi e nel pensiero, un ottimo esemplare della nuova classe politica italiana, seppure con particolarità tutte sue. Un gran furbone, con un fiuto che ha permesso ad un partito che si regge su tutto e su nulla di sostenere gli sconquassi degli anni, e uscirne vivo, dopo che tante volte fu dato per spacciato. Un uomo che ha saputo cucire un elettorato quantomai disomogeneo, e se l’è tenuto stretto per anni, passando con disinvoltura da una promessa all’altra, tutte – dico tutte – disattese, senza mai esser riconosciuto come cialtrone farabutto qual è.

Indipendenza, secessione, federalismo, federalismo fiscale, puoi ancora indipendenze, poi annessione, secessione, etc etc. Sono stati al governo per praticamente un decennio, e non l’hanno fatta. Eppure l’elettorato è convintissimo che sia per colpa degli ‘altri’ , il leit motiv che accompagna ogni problema in Italia d’altra parte.

Come dimenticare poi l’uscita geniale del dialetto? A sbraitare che bisognava insegnare il dialetto a scuola, che in padania bisogna parlare il dialetto. Poi s’accorsero che un militante triestino ed un militante piemontese non riuscivano a capirsi, se parlavano in dialetto, con grave danno per l’immagine della granitica padania, unita contro il turco Meridionale, e la cosa cadde lì. Idea per altro assolutamente interessante: io appoggio pienamente l’idea di difendere le identità culturali locali, di promuovere lo studio e il parlare dei dialetti: un dialetto che sparisce è una ferita, un pezzo di cultura che perdiamo, e non va bene. Il problema è che dietro la Lega, se mai ci fossero stati dubbi, alla fine idee non ce ne sono. Ci sono soldi, tanti, e come dovunque in Italia, dove ci sono soldi, arrivano i faccendieri, gli sciacalli, i farabutti, la criminalità organizzata. E come sempre, nessuno gli sbatte la porta in faccia, nemmeno alla Lega, da sempre contro i cattivi.

Bello poi l’epilogo, in stile Italiano, con Maroni, il fedelissimo amico, con cui Bossi ha condiviso mille battaglie, che mi dà l’impressione – ma sicuramente sono io maligno – che abbia saputo sfruttare il ruolo che ha ricoperto di ministro dell’interno, e guarda caso scoppia il bubbone, e Bossi se ne deve andare. E penso alla tristezza di questa gente. Due colleghi, che lavorano insieme per anni, che fanno – appunto – mille battaglie insieme, lottano, condividono, e poi la cosa finisce così, con la classica coltellata alla schiena.

Ma è proprio necessario che in politica debba valere la legge della giungla? Che per forza ci debbano essere lotte all’ultimo sangue? Che non ci possano essere amicizie o ideali, che alla fine finisca sempre tutto a schifìo?

Vediamo ora che succederà, se ne va Berlusconi, e poco dopo le segue Bossi – d’altra parte doveva succedere, no?

Nel frattempo uno splendido Bersani trova l’accordo sulla legge elettorale con Alfano e Casini, una legge che mantiene nelle mani dei farabutti di cui ci lamentiamo tutti – in primis gli elettori del pd – la possibilità di decidere i candidati (così avremo ancora un bello stuolo di pompinare, faccendieri, farabutti, mafiosi e quant’altro ad affollarsi ai banchi di Montecitorio, altri Scilipoti estratti dal cilindro del genio Di Pietro: sono ansioso di risentire qualcuno che ritiri fuori la storia che Prodi lo fece cadere Bertinotti, così parliamo un po’ dei confini fra dabbenaggine e buonsenso. La capacità di saper leggere il presente ed il futuro della classe dirigente del pd resta comunque, per me, motivo di tranquillità: il suo stolido perdurare mi fa sentire sereno, sicuro, un po’ com’era con Dalla. Ogni tanto accendevi la tv o la radio e c’era lui, e tu ti ripetevi: “Le cose importanti stanno ancora tutte al loro posto”

Bossi lo amo ricordare così, come lo definisce un mio caro amico quando non ne può più e sbotta: “handicappato di merda”

Uno splendido Bossi

Il mare che non c’è più

Quand’ero piccolo il mio libro preferito era l’atlante. Fra i mille luoghi che mi attraevano, c’era un posto che mi affascinava molto, un lago immenso, che ricordava vagamente una mela con picciolo e fogliolina. Le sue acque, anziché in azzurro come tutti i mari ed i laghi normali, erano di un rosa sporco: il mare di Aral, grande pressappoco come il lago Vittoria, ma molto più affascinante ai miei occhi.

Non so per quale motivo quel lago mi abbia sempre attirato: saranno state le acque salate, rese negli atlanti in rosa o con dei puntini, che lo rendevano speciale e simile ad un mare; forse quel suo esser sperduto in zone aride, nel mezzo dell’Asia.

Recentemente ho visto una foto satellitare del lago d’Aral, e sono rimasto di stucco. Anzitutto non è più un lago, ma sono due, divisi da una dorsale bella dritta. E seconda di poi, è grande nemmeno un terzo di come lo sapevo grande io, di come me l’avevano sempre dipinto l’atlante – anzi gli atlanti – e la varie cartine che avevo visto.

Wikipedia mi ha svelato la catastrofe: tutti presi dalla frenesia e dal delirio di onnipotenza (che li aveva spinti ad esempio a mettere a coltura in soli tre anni una superficie grande come l’Italia, per la prima volta nella storia, nelle steppe centroasiatiche) i sovietici avevano deciso di usare l’acqua degli immissari del lago per irrigare i terreni circostanti, strappati alla steppa e avidi d’acqua. La colossale opera – fu chiaro fin da subito – avrebbe prosciugato seriamente il lago. I sovietici pensarono che in questo modo avrebbero corretto un grossolano errore della natura, che aveva messo un inutile lago salato, le cui acque erano inadatte a scopi agricoli, in mezzo alle palle del gigante: meglio così, al posto del lago sarebbe rimasta terra fertile, e le terre circostanti sarebbero divenute rigogliose grazie alle acque sottratte al lago.

Sfortunatamente non andò esattamente così. Il lago si è quasi prosciugato, è vero. Ma al posto è rimasto un deserto di sale, nella cui crosta sono intrappolate migliaia di tonnellate di pesticidi e fertilizzanti restituiti dai campi sovietici, pompati come atleti della DDR per sfamare la fame del PCUS. E la desolante e desolata landa è velenosa anche per l’area circostante, perché i venti strappano le sostanze nocive al sale, e le portano come polvere in giro.

Ora del porto della città di Aral, che ancora dà il nome a quel che resta del mare di un tempo, restano i moli, strane impalcature nel niente, e qualche vecchio peschereccio appoggiato su di un fianco.

Ebbene, ogni volta che penso al lago d’Aral, mi vengono in mente le parole desolate di Lucio Dalla in “Com’è profondo il mare”:

 

[…]
Certo
Chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare

Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare

 

Il giorno della memoria

Pochissimi anni fa i sovietici aprirono i cancelli di Auschwitz, spalancando l’abisso di fronte all’umanità.

L’umanità ha scelto la via più comoda, e da allora i Tedeschi sono i Cattivi, gli altri no, o comunque meno.

Ogni anno cerco di ricordare a me stesso che potevo essere io, uno di quegli aguzzini. Non importa quale ruolo ricoprissi: dall’ufficiale che eseguiva gli ordini, al prigioniero politico tedesco che faceva il kapo, alla casalinga che non sentiva l’odore agrodolce dei camini poco distanti, allo studente che prendeva a sassate la vetrina del giudeo. Sarei benissimo potuto essere uno degli aguzzini. Non raccontiamoci fole: il problema dei tedeschi, anzi, i due problemi dei tedeschi sono (i) che fanno le cose per bene e (ii) che hanno fiducia nell’autorità. Ed è per questo che alla fine gli Italiani, che pure di porcherie atroci ne hanno fatte, e che fascisti sono stati, ne sono usciti tutto sommato bene, a tarallucci e vino, come al solito.

L’orrore dei campi di concentramento nazisti non è qualcosa da contemplare dall’alto della nostra coscienza pulita, dal caldo dei nostri salotti, ripetendoci “io non lo avrei mai fatto”: è uno schifo nel quale dobbiamo immergerci, del quale non dobbiamo avere paura, che solo dobbiamo combattere.

A versare la lacrimuccia siamo tutti buoni, e non costa nulla.

Prima di tutti, vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendermi e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Bertolt Brecht

 

Capitani coraggiosi

21 anni fa, di questo periodo, moriva, dopo che mia madre l’aveva aiutato a farsi il segno della croce e dunque, in virtù di questo, serenamente, mio nonno Vincenzo. Oggi avrebbe 106 anni.
Doveva in realtà chiamarsi Guido, ma il parente o chi per lui che andò all’anagrafe si dimenticò il nome, e pensò che Vincenzo andasse benissimo.
Era l’ultimo figlio di una famiglia palermitana di capitani di marina.
Da piccolo, quando stava per cominciare la prima guerra mondiale, andava al porto a vedere i bastimenti che arrivavano, e poi andava a riferire a suo nonno, quasi cieco da tempo, che si faceva ripetere la stazza delle navi alla fonda, ripetendo incredulo cifre che, per un uomo abituato alle vele e non al vapore, non potevano essere comprese.
Mio nonno, mi concedo una licenza, recitava con serietà la sua parte, nel grande palcoscenico della vita. Era meridionale, e per questo si sentiva in dovere di essere ferocemente geloso e attaccare – letteralmente – al muro chiunque indugiasse a suo avviso un po’ troppo sulle forme di mia nonna. Era siciliano, e dunque piuttosto maschilista. Era un marinaio, e aveva amiche in ogni porto. Era capitano di marina, e dunque monarchico. Era anche uomo all’antica, che credeva nella dignità dell’uomo.
Passò il tempo, durante il secondo conflitto mondiale, ad incrociare nel mar mediterraneo. Mi raccontava, con la voce austera gelida nel suo disprezzo, di come gli inglesi passassero con la mitragliatrice i naufraghi in balia delle onde, a dispetto di tutte le leggi del mare, e di come una volta, interrogando in merito a questo un capitano anglosassone prigioniero, per l’appunto raccolto in mare, si sentì rispondere “È la guerra”. Mi raccontava di Cipro, di Creta, di Gibilterra; di come una volta avesse sentito, nel silenzio assoluto, i denti di un sottoposto che battevano forte dal terrore, mentre in una notte buia aspettavano il bombardamento, in mezzo al mare.

Che io sappia non ha mai fatto naufragio, l’unica volta in cui lo avrebbe fatto fu chiamato appena in tempo, mentre saliva la passerella di una nave che sarebbe stata colata a picco subito fuori dal porto di Palermo (nessun superstite), perché sua madre era morta. Una sorta di salvataggio in extremis, verrebbe da pensare.

Non so cosa farei io se fossi il capitano di una nave grande come un comune e tale nave stesse affondando. Non so se avrei il coraggio di restare a bordo a coordinare i soccorsi col rischio di crepare. Non so, soprattutto, se avrei il coraggio di far tutto questo dopo aver fatto un’immane cazzata, per altro concordata con la compagnia.

Non so nemmeno cosa avrebbe fatto mio nonno. Però ho alcune convinzioni. Non credo che mio nonno sarebbe passato così vicino ad un’isola. Credo però che probabilmente nemmeno la compagnia gli avrebbe chiesto di farlo per rendere felici i menefreghisti a bordo, che consumano paesaggi come fossero popcorn, e li vogliono vedere vicini. Non credo che mio nonno avrebbe lasciato la nave, la sua nave.

Oggi il senso dell’onore, della dignità di un uomo, il senso del dovere, sono tutte cose che, in Italia, sono considerate da sfigati, da perdenti, da piglianculo.

Mio nonno, con tutti i difetti che poteva avere, era un uomo che credeva nella dignità dell’uomo e nel suo onore. Per questo era capace di vegliare, già vecchio, suo nipote in vece di sua figlia stremata dalla stanchezza, e la mattina esser di nuovo pronto a farlo, e a farlo ancora, senza mostrare il minimo segno di stanchezza, come fosse la cosa più normale del mondo. Perchè, per lui, in effetti era la cosa più normale del mondo che un uomo si comportasse così.

C’è tanta voglia di eroi, in Italia, basti guardare il buon De Falco e come sia stato incensato.

Cosa lascia perplessi è  che l’italiano di oggi desidera ardentemente che l’eroe ci sia, ma che non sia lui stesso: d’altra parte perché proprio lui?

l’evoluzione dei padroni

garzoni

aspiranti garzoni edili in Triesterstraße

chi mi vuole per garzone
che lo voglio per padrone!

Comincia così la fiaba “I tre orfani” raccolta da Italo Calvino nel suo – splendido – “Fiabe Italiane”, che mi sta accompagnando da quando ero piccolo, e che mi sono portato a Vienna. Mi ha sempre colpito questa specie di filastrocca con cui, nella miseria nera, uno ad uno i tre orfani si immettono nel mercato del lavoro (come si dice oggi). Soprattutto le condizioni contrattuali – l’unica richiesta è: lavorare. Chiunque soddisfi questa richiesta basilare, semplice, ineccepibile, corrisponde all’idea di datore di lavoro, anzi di padrone, che il giovane desidera: non v’è menzione circa il salario, le garanzie, le ferie pagate, la maternità, la malattia. Non mi sembra un caso che la fiaba, per altro, provenga da una terra dura, aspra e bella come la Calabria.

Ogni mattina, per andare al “mio” castello (come dice Peppe “il castello di papà”) passo per la Triestestraße (dimenticano facilmente, qui), che mi conduce fuori Vienna. Lungo questo stradone sta un Obi, uno di questi grandi magazzini per il bricolage, ovvero per chi ha delle pruderie da homo faber, ma non la stoffa (tipo me). Davanti ad esso, ogni mattina che dio mette in terra, qualunque sia la stagione, la temperatura, lo stato del vento e l’umidità dell’aria, si affollano i braccianti.

Sono dai 4/5 fino a 20, ad occhio, saltellano da una gamba all’altra, si danno grandi pacche sulle spalle, si stringono nelle spalle, si alitano nelle mani. Ridono, scherzano, stanno appoggiati ad un lampione, fanno a botte, si gridano dietro, si guardano minacciosi.

Ma fondamentalmente aspettano che qualcuno li passi a prendere – ovvero dia loro una giornata di lavoro.

Condizioni contrattuali, sicurezza, sindacati, malattia, maternità: tutto questo non esiste. La capacità contrattuale di questi disgraziati consiste nel poter dire: “No grazie, per oggi resto a gelare sul marciapiede”.

Volendo continuare a metterla sul piano del “Va avanti chi ce la fa”, preoccupandosi più di non dare privilegi a chi non li merita, che di aiutare chi è più debole e più nel bisogno, non facciamo – non faremo – altro che aumentare la massa degli sconfitti, di coloro che non ce l’hanno fatta, dei deboli. E quando i deboli e gli sconfitti diventano molti, molti di più dei vincitori, dei forti e dei furbi, i ruoli si scambiano velocemente.

Per fortuna lo stato austriaco non è stato a guardare. Cosa ha fatto? Un rapido blitz con un paio di furgoni di poliziotti e due volanti – una retata vera e propria – e un bel controllo documenti, fatto lì sulla strada, ai disgraziati ad aspettare. Un gesto di elegante impotenza, come quando un bimbo grande ti fa un dispetto, e tu per la rabbia meni il primo più piccolo di te che ti si para davanti.

Pensierino di Natale

Nel mentre che Monti si starà facendo due palle grosse come campane per contentare tutti i partiti col totoministri (sempre un passo avanti il giornalismo italiano, eh! l’Italia va a rotoli, e la cosa migliore che riescono a cacare è tutta una serie di servizi sul totoministri), io ho deciso di concedermi un sogno d’inizio inverno. Lo so, sarebbe ancora autunno. Lo so, parliamo di Monti. Però mi andava lo stesso.

Dal momento che sarà un governo tecnico, o, come si dice a Firenze, tennico, non mi aspetto – né addirittura sogno – alcunché di fondamentale. Tipo lotta alla Mafia (e poi sarebbe anche di cattivo gusto: alla fine non siamo falliti grazie a quel quarto di PIL che non compare nei registri contabili dello stato, ma solo su quelli di Cosa Nostra, sarebbe ingrato far loro questo), riforma del sistema scolastico o comunque misure di tipo “culturale”, o altro. Però magari qualche cosa divertente sì, no?

Ecco dunque i miei desiderata: sono semplici, terra-terra, venali se volete, lo so. Ma d’altra parte è di Monti che parliamo, no?

1)  Invasione del Vaticano. Tutti i beni della Chiesa espropriati ed affidati ad un bel commissariamento di presidenza Finlandese (non vorrete mica darlo ad un italiano, vero!?). L’ICI sui beni della Chiesa, su tutti i beni della Chiesa, sia ripristinato come fossero immobili ad alto rendimento commerciale. Non mi vengano a rompere i coglioni che sono tutte la prima casa del Signore: è nato in una stalla, cosa volete che gliene freghi di avere un salotto grosso come San Pietro.

2) Parlamento ridotto della metà. Lo stipendio dei parlamentari deve essere uguale a quello di un professore di scuola media, e rispetto al lavoro che fanno, ci guadagnano i parlamentari, non v’è dubbio. Vedano poi loro se aumentare quello dei professori.

3) Ogni volta che i parlamentari diminuiranno le pensioni d’invalidità per gli handicappati, verrà loro espropriata una casa, anche se comprata a loro insaputa. Vediamo se ci pensano un po’. Se non hanno case, vengano coattamente trasferiti in un bell’appartamento popolare: sono certo che saranno numerose le famiglie  che vorranno scambiare il proprio alloggio popolare con la casa che i parlamentari non hanno.

4) I parlamentari devono dare il buon esempio: prendere gli autobus, le metropolitane, i treni. Come tutti gli altri. Le auto blu vengano destinate al trasporto organi, trasporto vecchi e handicappati. Sarà fatto obbligo – per i parlamentari – di fare la spesa personalmente una volta alla settimana.

5) Introduzione del concetto di tasse proporzionali. Ah, è già nella costituzione? Partirei dunque con un 2% di tasse da parte dei dipendenti, pubblici o privati che siano, e via a salire. Però vorrei una bella curva esponenziale: d’altra parte, che cazzo te ne fai di un milione di euro all’anno?

6) Evasione: agli evasori venga fatto un culo così.

7) Evasione: la pena sia commisurata al livello di indecenza. Se dichiari 15.000 euri l’anno, e hai un Porche Cayenne (meglio conosciuto a Prato come “codesto troiaio”) e un loft di oltre cento metri quadrati, devi obbligatoriamente fare a cambio con un fortunato, estratto a sorte, che vive in un monolocale con tutta la famiglia, possiede una Simca mille e guadagna davvero 15.000 euri l’anno. Lo scambio deve durare mesi 12. Poi vediamo se evadi ancora, pezzo di merda.

8) Grandi opere: le penali per ritardi, lavori fatti a cazzo di cane, errori o roba del genere, o le paga la ditta appaltatrice, oppure chi ha affidato il lavoro, si mettano pure d’accordo (non dovrebbe risultar difficile).

9) Nazionalizzare le banche. Troppo?

10) Mandare a cacare il fondo monetario internazionale

Per ora mi accontento di questo

Notturno sfavato

Stasera non fa molto freddo, ci sono 11, onestissimi, gradi celsius a Vienna. La giornata è stata meteorologicamente carina.

In parlamento 8 parlamentari – dico: 8 (otto) – su 316 si sono presi una responsabilità. Berlusconi li ha chiamati “traditori”, e li ha guardati uno per uno con lo sguardo che noi bimbi italiani conosciamo bene: lo sguardo – a volta accompagnato anche dalla frase esplicitata – della mamma che dice (in italiano nel testo) “dopo [leggi ‘a casa’] facciamo i conti, io e te”. A me stanno umanamente molto più simpatici di parecchi deputati dell’opposizione. Nonostante tutto.

Stasera dovrei essere contento: è di fatto un segnale importante, un pezzo fondamentale della fine del Berlusconismo. O almeno così sento dire in giro.

Spesso mi sono immaginato, con l’accrescersi del senso di esasperazione dato dalla novella dello stento cui ci si riferisce solitamente come “governo Berlusoni IV” , come sarebbe stata la sera in cui fosse crollato il governo Berlusconi. Gente per strada, sbronze, abbracci e baci con sconosciuti/e, orgie – ma senza gente pagata per farle -, poppe al vento, clacson e caroselli, cose così.

Eppure stasera mi sento piuttosto senza speranza. E non credo sia colpa della sonnolenta Vienna che mi ospita placida.

Basta che mi guardi intorno.

Partiamo dai più semplici: il centro-destra italiano.

Il governo sta sempre lì, non uno che si schiodi, uno che si prenda una cazzo di responsabilità che sia una, uno che dica “basta”. Son lì che non fanno un cazzo nulla da più di un anno. Su Berlusconi non c’è veramente nulla da dire.

I parlamentari sono tutti, terrorizzati, aggrappati alle palle del premier, certi di un triste avvenire dopo di lui. In questo idioti fino alla fine.

Gli elettori di centro destra si nascondono, fanno finta di nulla, sparano un po’ su tutti partendo dal governo, ma poi finiscono inevitabilmente col dire “tanto poi son tutti uguali” e roba del genere. Mi verrebbe da rispondergli “uguali una sega”, ma insomma, non lo faccio. In ogni caso, domani o dopodomani voteranno Alfano, uno dei deputati di Cosa Nostra. Già cominciano ad apprezzarlo grazie a servizi smarmellati su Novella 2000 in cui lo troviamo, sportivo e simpatico, immerso in rassicuranti quadretti familiari. Premi Pulitzer in arrivo per i fotografi che sono riusciti a farlo apparire meno mostruoso, e assunzioni a Google per i brillati tecnici del fotoritocco che sono riusciti a correggere un arco di strabismo che va da Storace agli autonomi extraparlamentari. Insomma: non si guarderanno allo specchio, non faranno i conti con la propria coscienza. Alcuni di essi mi hanno detto senza vergogna che la colpa è (nell’ordine) i) dell’Euro – come soggetto senziente, ii) del cambio Lira/Euro, iii) della gestione dell’entrata dell’Euro. Il fatto che la gente che loro hanno votato sia al governo ormai da 10 anni – e, voglio dire, mica mi verranno a dire che il governo Prodi 2006 – 2008 ha fatto danni! Per stessa ammissione degli stessi facenti parte del governo, il governo Prodi non ha fatto praticamente una minchia – non significa nulla circa la situazione attuale. Semplicemente: non è colpa loro (loro = eletti ed elettori, un corpo unico). I meridionali continuano a votare gente che o è mafiosa, o è alleata coi leghisti, o tutte e due le cose. I leghisti continuano a votare la Lega, che da decenni ormai parla di “secessione”, “federalismo”, “federalismo fiscale”, “indipendenza”, “padania” e altre amenità. Voglio dire: in dieci anni non sono riusciti a farne una che sia una, vorrà dire qualcosa? No, evidentemente no. Qualcuno mi difende pure Brunetta, pensate.

Il centro-sinistra.

Bersani ha resistito. Grazie alla sua leadership gli autori della videosigla di otto e mezzo hanno finalmente potuto prendere una settimana di ferie: non hanno dovuto sostituire il filmato del leader di centro-sinistra. A me Bersani mi fa due palle così. Sempre tetro, serissimo, come chi sia a conoscenza – per esperienza diretta – di tutte le umane sofferenze. Poi gli hanno detto – dev’essere stato uno di quei consiglieri geniali tipo Klaus Davi (vi faccio notare che è svizzero, ma naturalizzato italiano: vorrà dire qualcosa?) – che doveva esser più simpatico, e ha cominciato a copiare le battute di Crozza. Terribile. E l’opposizione è sempre lì, che guarda, che non agisce, che aspetta. In parlamento hanno numeri con cui la DC avrebbe governato stappando bottiglie di vino buono, loro manco riescono a far cadere un governo di puttanieri, imbelli, nani, ballerine, mafiosi, corrotti, idioti, etc etc. La responsabilità di tutta la merda che ci aspetta è anche loro, inutile far finta di nulla. Gli elettori di centro-sinistra sono invece tranquilli – esattamente come quelli di centro-destra: non è colpa loro.

Gli scontenti: nella palude degli scontenti, enorme e fetida – ci sto dentro anche io, beninteso, e puzzo come e più degli altri, ci sono varie correnti.

Gli scontenti ma non troppo: i renziani. Entusiasti, felici, sereni. Hanno in tasca tutte le soluzioni, professano il sigmatismo con diligenza, e sono latori della Novità. Costoro sono convinti che abbatteranno il Vecchio, che porteranno colore laddove c’era il grigio, idee dove c’era il consenso. Io mi dispero a vedere amici e persone che reputo intelligenti abbindolati dalle quattro minchiate del Renzi, che per altro ricicla robetta scout che era trita e ritrita quando facevo il boy scout io, ormai oltre una decade fa.

Gli scontenti totali: i grillini. Beppe Grillo ha fiutato il vento, e ha fatto fortuna. Io lo considero semplicemente un imprenditore dalle velleità fasciste. Per altro incapace di ammettere i propri errori, virtù che reputo inscindibile dal politico vero.

Gli scontenti naif (io sto qui): i vendoliani scalzi (copyright P.Molino 2010). Sono convinti che i buoni della sinistra sia convenuti in SEL, mentre i cattivi no. Sono latori di speranza e ideali, coniugati sapientemente in esperienza di governo. Al di fuori della Puglia, che si regge solo ed esclusivamente grazie a Vendola, un branco poco coeso, con giovani privi di spessore e vecchi paludati, totalmente incapaci di declinare a livello locale quanto proclamato.

Gli incazzati neri: “no chiacchiere: botte”. Sospendo il giudizio su di loro, forse hanno ragione.

Dunque spero mi capiate: con il nuovo rappresentato da Alfano e Renzi, opzioni per un governo tecnico come Letta (dico: Letta), Amato (dico: Amato: AMATO!) e Monti (…), Frattini ministro degli esteri, la Carlucci che lascia la maggioranza (dico, ma come mi sono ridotto se provo simpatia per la Carlucci?), Bossi ministro delle riforme (“handicappato di merda” come lo ha definito un mio carissimo amico, che ha un fratello handicappato, liberandomi da un gravoso fardello che non avevo il coraggio né la forza di espellere per troppo buonismo), D’Alema ancora in libertà, Veltroni non ancora in Africa, Boris finito senza possibilità di avere una quarta serie, la Spagna che vince mondiali ed europei (dopo che li ha vinti la Grecia, per altro), i reggiseni imbottiti, Ferrara che sbraita, Sarkozy e la Merkel che fanno gli spiritosi, la Bindi che dice le parolacce, il film dei Puffi, il fatto che non trovo da scaricare il film di Sorrentino, le previsioni dei Maya e l’imminente cambio delle gomme – dovrò passare a quelle invernali, Delio Rossi alla Fiorentina. Spero capirete le mie poche speranze.

Mi restano Prandelli in nazionale, il fatto che, chiunque lo segua, Sinisa s’è comunque levato dai coglioni, e Peppe che mi traduce come si dice “aereo” in tedesco. Anzi, in austriaco.