Non volersi bene (ovvero far le cose di malavoglia – ovvero a cazzo di cane)

lavoro di fino

un lavorino di fino

Questa meraviglia è il frutto di una mattinata di lavoro di un solerte ed incomprensibile caldaista viennese.

Ma partiamo dall’inizio.

La nostra padrona di casa (Frau Pollack) pattuisce con noi una cifra per l’affitto, un ottimo affare per la casa, che però non può essere affittata a molto perchè non “renoviert”. Poi scopre che deve rifare la cucina, e da signora la rifà. Cerca di tirar su il prezzo, ma la Molino tiene duro, e accetta solo un piccolo rialzo. Qua se fai un lavoro alla cucina, devono venire i marcantoni della Wien Energie a controllare che sia stato fatto a modino – mica cazzi. E dopo un mese e passa dal lavoro (potevamo essere morti per le esalazioni, ma insomma non ci formalizziamo) arrivano due tizi – che svegliano tutti perchè sono le 7.17. I due, alternando prove di grande spessore tecnologico ad empirismi alla MacGyver sentenziano che le emissioni gassose della caldaia superano la soglia di parecchio; ma parecchio. Insomma la spengono, dicendo che loro la devono spegnere. Però ci fanno anche vedere come si fa a riaccendere (sono cazzi nostri se muoriamo, beninteso, ma hanno il buon cuore di farci morire puliti). Provvederanno loro a dire all’amministratrice condominiale che provveda. E se ne vanno.

Il mattino dopo arriva un tizio. In casa ci sono io, e, a gesti, ci comunichiamo a vicenda che non capiamo un cazzo l’uno della lingua dell’altro. Per rimarcare l’abisso che ci separa, l’ometto (che ricorda stranamente un orsetto lavatore, un operoso procione) rifiuta anche il caffè (ancora mi vengono le lacrime al pensiero: un caldaista che mi rifiuta un caffè – un caldaista viennese che mi rifiuta il mio espresso arabica coop fatto con la bialetti: selvaggio). Comunque mi fa capire che lui la caldaia non la può riparare perchè è di marca a lui non cognita. Dirà alla compagnia di mandare qualcun’altro. Bah. E va via.

Arriva un altro tizio, smadonna un po’, e poi che dice che la caldaia è rotta e va cambiata. Per corroborare la diagnosi, prova ripetutamente – con uno sguardo che cerca il mio assenso – ad accenderla senza successo. E se ne va.

Il mattino dopo arriva una Frau Pollack provata, ma sempre signorile. Trova “komisch” che la caldaia abbia smesso proprio ora di funzionare. Era vecchia, ma insomma. L’enorme uomo della caldaia (è uno mai visto: lui il caffè lo ha preso nonostante abbia delle extrasistole che gli tremano le tonsille – mi fa capire e io capisco) ribadisce, con eloquenti gesti fatalisti, che non c’è altro da fare che cambiare la caldaia. La signora si conficca una forchetta nel palmo, inspira, e dà l’assenso. Siamo pur sempre un paese civile: inquilini che puzzano non se ne vogliono. E lascia amabilmente la scena. (in realtà sono sinceramente grato alla Frau Pollack, che ha speso una fortuna ed è stata sfortunata, ma che si è comportata in modo oltremodo urbano).

Ecco, io dico: un paese che ti segue, veglia sui tuoi sonni, controlla che tu non schiatti per le esalazioni o che tu faccia saltar per aria una palazzina, in cui non si lasciano gli inquilini senz’acqua calda nemmeno d’estate (se così la vogliamo chiamare), in cui c’è dialogo (al di là del grazioso siparietto col caldaista, pensate all’inusuale colloquio fra il gestore locale di energia e l’amministratrice condominiale), ecco, in un paese così alla fine però non ci si vuole bene.

O che si fa un accrocchio di tubi in quel modo, con le mattonelle scassate a cazzo di cane, tutto sporco, con la scatola dei collegamenti che penzola? Questo si chiama non volersi bene, o per lo meno non abbastanza, e qui lo fanno sempre.

Vedi queste facciate linde, immacolate, perfette, poi ti avvicini, e lo stipite della finestra è messo storto, con la vernice che ha smerdato il muro.

Queste case strafighe, con i mobili che paiono tutti pezzi unici, il parquet che ci puoi trascinare un bebè per le gambe che il culo non gli si graffia nè irrita, e poi le mattonelle del cesso sono sbregate per far sortire il tubo che va al termosifone, con tutta la polvere e i lanicci che fan festa nel buco.

‘Sti omìni vestiti bene, distinti, col fazzoletto che esce dal taschino, che ti mozzano il fiato per il puzzo di sudore (e via, se lo dico io buona camicia a tutti).

La gente qua si tratta bene, ma con la testa è altrove, non ti vogliono bene per davvero.

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