prima partenza (falsa partenza)

La banchina di Firenze Campo di Marte

La banchina di Firenze Campo di Marte

“Allegro Tosca” Wien SBHF – Firenze SMN
Stazione, treno, saluti al binario, cosa dico cosa non dico, che buon odore le fa la pelle, minchia parte, ciao ciao.
Dove cazzo é lo scompartimento, carina la controllora, salve, salve, due minchiate col tizio sconosciuto con cui sarò in intimità  coatta per le prossime ore, silenzio.

Non reale, ovviamente, che il treno non é posto silenzioso, per niente. Quel silenzio interiore che mi invade sempre quando parto, specialmente se so che mi sto allontanando per un pezzo da Paola. L’ho lasciata decine di volte su una banchina, da quando manca poco correva dietro al treno, ai giorni nostri, in cui ci si saluta e basta; sono stato lasciato decine di volte su una banchina, da quando frignavo tornandomene in macchina, ai giorni nostri, in cui c’é una sorta di magone, un gomitolo di malinconia nelle budella.
D’altra parte é parte di un mai esplicitato accordo, scrupolosamente rispettato da entrambi, che prevede la libertà  di circolazione. L’importante é tornare, però se si deve andare si va, un pianto e un lamento, una lamentela e un po’ d’invidia, e basta.

Questa volta non ci allontaniamo per molto tempo, solo venti giorni, eppure la congiuntura degli eventi é particolare. Anzitutto, vado, dopo secoli, in vacanza in un paese straniero che non ho mai visitato con altre persone e non con lei. Era capitato con l’Albania, ma non ero in vancanza né ero con colleghi, ero con uno dei miei migliori amici. E soprattutto non ero così lontano, ovvero non ero dall’altra parte del mondo, in Giappone, probabilmente il posto più lontano in cui mai sarò stato, certo se si esclude Vermosh, che era sì in linea d’aria a 60 km dal mar adriatico, ma nella sostanza uno dei posti più remoti della terra, almeno a mio modo di vedere.

La verità  é che mi scoccia andarci senza la mia metà  migliore, parafrasando non si chi.

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