Archivio tag: Ricordi

il traghetto nella sabbia

il traghetto nella sabbia

il traghetto nella sabbia

Ricordo una volta, eravamo con Paola, verso Pasqua. Una di quelle “fuitine” che solo da universitario ti puoi permettere davvero. Eravamo andati in Belgio e Olanda, dopo un anno burrascoso di grandi dolori e grandi soddisfazioni, per dirla alla francese. Avevamo noleggiato una twingo verdastra da un simpatico e piuttosto vecchiotto belga di Brussel (che in seguito ci aveva premurosamente girato una multa minacciosa -per i toni- da autovelox della polizia olandese). Dormivamo in un grazioso e deserto ostello in Belgio, al confine con l’Olanda, su un canale fiancheggiato da una fila infinita di mulini a vento, quelle imponenti costruzioni donchisciottesche che placidamente girano le pale. A me piacciono moltissimo. Era uno di quei posti in cui terra e acqua non sono ben definite: coste frastagliate, foci, fiordi, paludi. Non si capisce bene cosa sia cosa. Una delle notti che dormivano là , ci siamo spinti ardimentosamente in Olanda (ce ne siamo accorti per via dei cartelli). Al ritorno, era tardi e decidemmo di traversare un braccio di mare, che non ricordo se fosse un fiordo o la foce di un fiume, con un traghetto. O meglio, una chiatta. Il ricordo é completamente occupato dalla scena che vidi dal ponte di quel traghetto, mentre mi fumavo una benedetta sigaretta, Paola rassegava in macchina per via di qualche linea di febbre e il vento mi gelava la pelle del viso.

La nave, per via di una stranissima luce notturna diffusa dalle nubi (dietro cui immaginai campeggiasse una luna ben pasciuta), sembrava navigare su un deserto di sabbia scintillante. Quasi non si sentiva lo sciabordio dell’acqua, la superficie appena increspata da piccole onde tutte uguali, come la sabbia nel deserto, il fragore del vento come annichilito da tanto spettacolo. La sigaretta, forse anche per via delle folate, mi si spense fra le dita quasi senza combattere.

G

gli albanesi e gli italiani – il taxi collettivo

il taxi collettivo

il taxi collettivo

nel 2003, quando ero in Albania con il mio amico G., ci é capitato che il tassista, che in realtà  pilotava uno scassato furgoncino tipo Vanette (mitico) che fungeva da mini-corriera/taxi collettivo, scoprendo che eravamo italiani, inchiodasse, mollasse “taxi” e passeggeri dove capitava e ci portasse a prendere un caffé. Il rito si svolgeva così: ci venivano offerte n sigarette, generalmente fini (quelle che da noi fumano generalmente le signore di una certa età  con un generico animale morto sul collo e che in Albania -perlomeno allor- fumavano certi energumeni con le dita così tozze che la sigaretta appena spuntava fra di esse); il rifiuto non era generalmente capito, o comunque giudicato assolutamente irrilevante. Il caffé era in realtà  un escamotage per evitare il raki, la grappa locale, consumata a qualsiasi ora. La conversazione passava dai parenti in Italia, ai risultati delle partite (sulle quali gli albanesi erano inevitabilmente più aggiornati di noi, non tifosi), a “Italia bella, Italia cultura, Italia progreso” (un mantra spesso ripetuto dinnanzi alla nostra completa incredulità  – nel caso ve ne foste scordati, c’era Berlusconi, all’epoca, e pure la Bossi-Fini, che per altro gli albanesi conoscevano comma dopo comma, sicuramente meglio dei firmatari…). Il caffé lo offriva il tassista, come pure la corsa. I passeggeri, generalmente, non si erano mossi dai sedili; i più arditi, erano scesi a fumarsi una o più sigarette. Quando scendevamo, ci salutavano tutti calorosamente. Più o meno come facciamo noi con loro.

G