Pensierino di Natale

Nel mentre che Monti si starà facendo due palle grosse come campane per contentare tutti i partiti col totoministri (sempre un passo avanti il giornalismo italiano, eh! l’Italia va a rotoli, e la cosa migliore che riescono a cacare è tutta una serie di servizi sul totoministri), io ho deciso di concedermi un sogno d’inizio inverno. Lo so, sarebbe ancora autunno. Lo so, parliamo di Monti. Però mi andava lo stesso.

Dal momento che sarà un governo tecnico, o, come si dice a Firenze, tennico, non mi aspetto – né addirittura sogno – alcunché di fondamentale. Tipo lotta alla Mafia (e poi sarebbe anche di cattivo gusto: alla fine non siamo falliti grazie a quel quarto di PIL che non compare nei registri contabili dello stato, ma solo su quelli di Cosa Nostra, sarebbe ingrato far loro questo), riforma del sistema scolastico o comunque misure di tipo “culturale”, o altro. Però magari qualche cosa divertente sì, no?

Ecco dunque i miei desiderata: sono semplici, terra-terra, venali se volete, lo so. Ma d’altra parte è di Monti che parliamo, no?

1)  Invasione del Vaticano. Tutti i beni della Chiesa espropriati ed affidati ad un bel commissariamento di presidenza Finlandese (non vorrete mica darlo ad un italiano, vero!?). L’ICI sui beni della Chiesa, su tutti i beni della Chiesa, sia ripristinato come fossero immobili ad alto rendimento commerciale. Non mi vengano a rompere i coglioni che sono tutte la prima casa del Signore: è nato in una stalla, cosa volete che gliene freghi di avere un salotto grosso come San Pietro.

2) Parlamento ridotto della metà. Lo stipendio dei parlamentari deve essere uguale a quello di un professore di scuola media, e rispetto al lavoro che fanno, ci guadagnano i parlamentari, non v’è dubbio. Vedano poi loro se aumentare quello dei professori.

3) Ogni volta che i parlamentari diminuiranno le pensioni d’invalidità per gli handicappati, verrà loro espropriata una casa, anche se comprata a loro insaputa. Vediamo se ci pensano un po’. Se non hanno case, vengano coattamente trasferiti in un bell’appartamento popolare: sono certo che saranno numerose le famiglie  che vorranno scambiare il proprio alloggio popolare con la casa che i parlamentari non hanno.

4) I parlamentari devono dare il buon esempio: prendere gli autobus, le metropolitane, i treni. Come tutti gli altri. Le auto blu vengano destinate al trasporto organi, trasporto vecchi e handicappati. Sarà fatto obbligo – per i parlamentari – di fare la spesa personalmente una volta alla settimana.

5) Introduzione del concetto di tasse proporzionali. Ah, è già nella costituzione? Partirei dunque con un 2% di tasse da parte dei dipendenti, pubblici o privati che siano, e via a salire. Però vorrei una bella curva esponenziale: d’altra parte, che cazzo te ne fai di un milione di euro all’anno?

6) Evasione: agli evasori venga fatto un culo così.

7) Evasione: la pena sia commisurata al livello di indecenza. Se dichiari 15.000 euri l’anno, e hai un Porche Cayenne (meglio conosciuto a Prato come “codesto troiaio”) e un loft di oltre cento metri quadrati, devi obbligatoriamente fare a cambio con un fortunato, estratto a sorte, che vive in un monolocale con tutta la famiglia, possiede una Simca mille e guadagna davvero 15.000 euri l’anno. Lo scambio deve durare mesi 12. Poi vediamo se evadi ancora, pezzo di merda.

8) Grandi opere: le penali per ritardi, lavori fatti a cazzo di cane, errori o roba del genere, o le paga la ditta appaltatrice, oppure chi ha affidato il lavoro, si mettano pure d’accordo (non dovrebbe risultar difficile).

9) Nazionalizzare le banche. Troppo?

10) Mandare a cacare il fondo monetario internazionale

Per ora mi accontento di questo

Notturno sfavato

Stasera non fa molto freddo, ci sono 11, onestissimi, gradi celsius a Vienna. La giornata è stata meteorologicamente carina.

In parlamento 8 parlamentari – dico: 8 (otto) – su 316 si sono presi una responsabilità. Berlusconi li ha chiamati “traditori”, e li ha guardati uno per uno con lo sguardo che noi bimbi italiani conosciamo bene: lo sguardo – a volta accompagnato anche dalla frase esplicitata – della mamma che dice (in italiano nel testo) “dopo [leggi ‘a casa’] facciamo i conti, io e te”. A me stanno umanamente molto più simpatici di parecchi deputati dell’opposizione. Nonostante tutto.

Stasera dovrei essere contento: è di fatto un segnale importante, un pezzo fondamentale della fine del Berlusconismo. O almeno così sento dire in giro.

Spesso mi sono immaginato, con l’accrescersi del senso di esasperazione dato dalla novella dello stento cui ci si riferisce solitamente come “governo Berlusoni IV” , come sarebbe stata la sera in cui fosse crollato il governo Berlusconi. Gente per strada, sbronze, abbracci e baci con sconosciuti/e, orgie – ma senza gente pagata per farle -, poppe al vento, clacson e caroselli, cose così.

Eppure stasera mi sento piuttosto senza speranza. E non credo sia colpa della sonnolenta Vienna che mi ospita placida.

Basta che mi guardi intorno.

Partiamo dai più semplici: il centro-destra italiano.

Il governo sta sempre lì, non uno che si schiodi, uno che si prenda una cazzo di responsabilità che sia una, uno che dica “basta”. Son lì che non fanno un cazzo nulla da più di un anno. Su Berlusconi non c’è veramente nulla da dire.

I parlamentari sono tutti, terrorizzati, aggrappati alle palle del premier, certi di un triste avvenire dopo di lui. In questo idioti fino alla fine.

Gli elettori di centro destra si nascondono, fanno finta di nulla, sparano un po’ su tutti partendo dal governo, ma poi finiscono inevitabilmente col dire “tanto poi son tutti uguali” e roba del genere. Mi verrebbe da rispondergli “uguali una sega”, ma insomma, non lo faccio. In ogni caso, domani o dopodomani voteranno Alfano, uno dei deputati di Cosa Nostra. Già cominciano ad apprezzarlo grazie a servizi smarmellati su Novella 2000 in cui lo troviamo, sportivo e simpatico, immerso in rassicuranti quadretti familiari. Premi Pulitzer in arrivo per i fotografi che sono riusciti a farlo apparire meno mostruoso, e assunzioni a Google per i brillati tecnici del fotoritocco che sono riusciti a correggere un arco di strabismo che va da Storace agli autonomi extraparlamentari. Insomma: non si guarderanno allo specchio, non faranno i conti con la propria coscienza. Alcuni di essi mi hanno detto senza vergogna che la colpa è (nell’ordine) i) dell’Euro – come soggetto senziente, ii) del cambio Lira/Euro, iii) della gestione dell’entrata dell’Euro. Il fatto che la gente che loro hanno votato sia al governo ormai da 10 anni – e, voglio dire, mica mi verranno a dire che il governo Prodi 2006 – 2008 ha fatto danni! Per stessa ammissione degli stessi facenti parte del governo, il governo Prodi non ha fatto praticamente una minchia – non significa nulla circa la situazione attuale. Semplicemente: non è colpa loro (loro = eletti ed elettori, un corpo unico). I meridionali continuano a votare gente che o è mafiosa, o è alleata coi leghisti, o tutte e due le cose. I leghisti continuano a votare la Lega, che da decenni ormai parla di “secessione”, “federalismo”, “federalismo fiscale”, “indipendenza”, “padania” e altre amenità. Voglio dire: in dieci anni non sono riusciti a farne una che sia una, vorrà dire qualcosa? No, evidentemente no. Qualcuno mi difende pure Brunetta, pensate.

Il centro-sinistra.

Bersani ha resistito. Grazie alla sua leadership gli autori della videosigla di otto e mezzo hanno finalmente potuto prendere una settimana di ferie: non hanno dovuto sostituire il filmato del leader di centro-sinistra. A me Bersani mi fa due palle così. Sempre tetro, serissimo, come chi sia a conoscenza – per esperienza diretta – di tutte le umane sofferenze. Poi gli hanno detto – dev’essere stato uno di quei consiglieri geniali tipo Klaus Davi (vi faccio notare che è svizzero, ma naturalizzato italiano: vorrà dire qualcosa?) – che doveva esser più simpatico, e ha cominciato a copiare le battute di Crozza. Terribile. E l’opposizione è sempre lì, che guarda, che non agisce, che aspetta. In parlamento hanno numeri con cui la DC avrebbe governato stappando bottiglie di vino buono, loro manco riescono a far cadere un governo di puttanieri, imbelli, nani, ballerine, mafiosi, corrotti, idioti, etc etc. La responsabilità di tutta la merda che ci aspetta è anche loro, inutile far finta di nulla. Gli elettori di centro-sinistra sono invece tranquilli – esattamente come quelli di centro-destra: non è colpa loro.

Gli scontenti: nella palude degli scontenti, enorme e fetida – ci sto dentro anche io, beninteso, e puzzo come e più degli altri, ci sono varie correnti.

Gli scontenti ma non troppo: i renziani. Entusiasti, felici, sereni. Hanno in tasca tutte le soluzioni, professano il sigmatismo con diligenza, e sono latori della Novità. Costoro sono convinti che abbatteranno il Vecchio, che porteranno colore laddove c’era il grigio, idee dove c’era il consenso. Io mi dispero a vedere amici e persone che reputo intelligenti abbindolati dalle quattro minchiate del Renzi, che per altro ricicla robetta scout che era trita e ritrita quando facevo il boy scout io, ormai oltre una decade fa.

Gli scontenti totali: i grillini. Beppe Grillo ha fiutato il vento, e ha fatto fortuna. Io lo considero semplicemente un imprenditore dalle velleità fasciste. Per altro incapace di ammettere i propri errori, virtù che reputo inscindibile dal politico vero.

Gli scontenti naif (io sto qui): i vendoliani scalzi (copyright P.Molino 2010). Sono convinti che i buoni della sinistra sia convenuti in SEL, mentre i cattivi no. Sono latori di speranza e ideali, coniugati sapientemente in esperienza di governo. Al di fuori della Puglia, che si regge solo ed esclusivamente grazie a Vendola, un branco poco coeso, con giovani privi di spessore e vecchi paludati, totalmente incapaci di declinare a livello locale quanto proclamato.

Gli incazzati neri: “no chiacchiere: botte”. Sospendo il giudizio su di loro, forse hanno ragione.

Dunque spero mi capiate: con il nuovo rappresentato da Alfano e Renzi, opzioni per un governo tecnico come Letta (dico: Letta), Amato (dico: Amato: AMATO!) e Monti (…), Frattini ministro degli esteri, la Carlucci che lascia la maggioranza (dico, ma come mi sono ridotto se provo simpatia per la Carlucci?), Bossi ministro delle riforme (“handicappato di merda” come lo ha definito un mio carissimo amico, che ha un fratello handicappato, liberandomi da un gravoso fardello che non avevo il coraggio né la forza di espellere per troppo buonismo), D’Alema ancora in libertà, Veltroni non ancora in Africa, Boris finito senza possibilità di avere una quarta serie, la Spagna che vince mondiali ed europei (dopo che li ha vinti la Grecia, per altro), i reggiseni imbottiti, Ferrara che sbraita, Sarkozy e la Merkel che fanno gli spiritosi, la Bindi che dice le parolacce, il film dei Puffi, il fatto che non trovo da scaricare il film di Sorrentino, le previsioni dei Maya e l’imminente cambio delle gomme – dovrò passare a quelle invernali, Delio Rossi alla Fiorentina. Spero capirete le mie poche speranze.

Mi restano Prandelli in nazionale, il fatto che, chiunque lo segua, Sinisa s’è comunque levato dai coglioni, e Peppe che mi traduce come si dice “aereo” in tedesco. Anzi, in austriaco.

Werkstätten Und Kulturhaus

Domenica d’Ottobre, qua fa già piuttosto freddo – per gli standard cui sono abituato. La famiglia va a visitare il WUK, che è aperto tutto il giorno per via di una festa per i bimbi.

 

Il WUK, ovvero “Laboratori e Centro Culturale” è un posto molto interessante. C’ero stato anni fa per un evento organizzato ad un nostro amico artista che sta qui a Vienna – un giorno vi racconterò di lui.

È un complesso di edifici, non molto grande, con un cortile interno, che ricorda l’università di Berlino Est, quella piena di edera, in mattoni rossi. Dentro ci sono laboratori, un auditorium, un asilo, un bar. I laboratori sono molto ben forniti: quello di falegnameria ha seghe circolari, a nastro, pialle, roba professionale di buon livello – per quel che mi par di capire data la mia esperienza nella bottega di mio padre. La cosa ganza è che sono aperti, e che gli aspiranti artisti, falegnami, scultori, fotografi, possono fruirne liberamente. Se hai voglia di esprimerti, lo puoi fare.

La giornata per i bambini consta nei laboratori aperti, con alcuni dei fruitori più assidui – mi par di capire – a dar man forte ai genitori e ai mostriciattoli proponendo alcune attività di base, tipo far delle maracas con piatti o biccheri di carta e semi o legumi secchi: roba da lupetti, per intendersi. Oppure suonare gli strumenti musicali prodotti dai provetti frequentatori (si va da roba di merda che vien da vergognarsi e piccole meraviglie dell’ingegno umano che andrebbero secondo me esposte, o quantomeno suonate professionalmente), cosa che i bimbi fanno con particolare accanimento, essendo prevalentemente strumenti a percussione.

Peppe ne approfitta per testare la risonanza della scatola cranica di una ex-compagna d’asilo, che – effettivamente – a seguito della percussione (percossa?) produce suoni a profusione, magari non quelli che Peppe sperava, a giudicare dalla sua espressione delusa, ma insomma suoni.

Dopodichè arriviamo alla discoteca.

Il primo impatto è esilarante: una pista da centro sociale, abbastanza lurida, tutta scura, con luci da disco che saettano in tutte le direzioni, frastuono da serata all’Ex-Emerson (quando ancora era al capolinea del 14), puzzo simile (senza però odore di tabacco o cannabinoidi combusti) misto di chiacchere e musica, un dj con l’immancabile Mac ben esposto, compreso del suo ruolo.

In pista: famiglie.

Bambini che ballano in braccio o davanti alle proprie madri, cuscini in cui si rotolano padri e figli, pozze di palline di plastica entro cui bimbi di varie età se le suonano di santa ragione, materassini su cui dormono lattanti stravaccati.

Il tutto condito da una musica che, per un adulto è alta, per un bimbo è l’equivalente del volume di un rave party quando stai davanti le casse (esperienza che per altro mi sento di consigliare).

La prima impressione positiva (“hai visto bellini”) scolora in un discreto disagio (“ma che cazzo stanno facendo?”) ed emigriamo fuori. Il posto è alla fine abbastanza alienante, i bimbi sono storditi dalla musica e dalle luci (e francamente non ne vedo molto la necessità: quando vogliono, sanno perfettamente come stordirsi, e lo fanno senza l’ausilio di strumenti esterni, di tipo chimico, meccanico o altro), i genitori si divertono magari, ma insomma mi garba il giusto.

Optiamo per andare a ripigliarci nell’asilo del WUK, che consta in uno stanzone tagliato a metà da uno scivolo lungo come un trampolino per il salto con gli sci (che pare anche sia l’unica vera attività svolta nell’asilo – lo scivolo, non il salto con gli sci – stando a quanto riportano insegnanti ed avventori, entrambe le tipologie di soggetti fortemente entusiasti della dotazione), popolato da alcuni genitori che si fanno un teino mentre i bimbi giocano ai pirati di là.

Sono strani, gli austriaci.

La discoteca per bambini al WUK

L’arte di sbagliare

slittaIl travagliato rapporto fra il mio buon Acciai e Fitto mi ha pungolato.

Un giorno d’inverno, in una strettoia, s’incontrarono due contadini sulle loro slitte. Il primo disse: “Spostati su, ché fa freddo e io devo andare al mercato a vendere la mia roba!”.
“Spostati tu – ribatté l’altro – ché fa freddo, sono stato tutta la mattina al mercato e ho fretta di tornare al calduccio dalla mia famiglia!”.
E così stavano a litigare in mezzo alla strada.
Passò un terzo che disse loro: “Chi ha più premura, si faccia indietro”.

Questo racconto russo, non ricordo di chi sia – ed era sicuramente scritto molto meglio – mi ha colpito sin dalla prima volta che, bambino, l’ho letto.
Il litigio in contumacia fra Enrico e Raffaele, come tutti quelli fra gli italiani in questi ultimi vent’anni, mi ricordano sempre questi due contadini.

Non pensiate, però, che io mi ritenga al di fuori di questa logica: mio malgrado ne sono invischiato anch’io.

Anche io schiumo di rabbia. Non riesco più a guardare un pollaio politico in TV: semplicemente non ce la faccio.

Una volta vidi a ottoEmezzo quella sottosegretario pdl tanto-per-bene che non mi ricordo mai come si chiama, la Casellati (son dovuto andare a vedere). Avevamo ancora i postumi della barzelletta di Berlusconi sulla mela, con cui deliziò la delegazione di fedeli a Palazzo Grazioli, mi pare. E io pensavo: “Ma perché una signora che potrebbe essere mia madre si deve ridurre a difendere un indifendibile ed impresentabile maschilista gretto volgare vecchio maniaco?”

E tuttavia queste considerazioni partono da un primo, irrinunciabile assioma: noi, che siamo quelli buoni, bravi e intelligenti, abbiamo ragione, gli altri, che sono coloro che votano Berlusconi, hanno torto, o comunque sbagliano.

Di questo passo andiamo poco lontano.

Anche io mi chiedo ad esempio cosa possa dire Capezzone ai propri amici più cari, quelli che ti conoscono, che ti vogliono bene, che sanno chi sei. Di cosa avranno parlato dopo che da radicale è diventato portavoce di Berlusconi? Di fica?
Eppure io sono convinto, e ogni giorno cerco di ricordarmelo bene, perché è un insegnamento difficile, che la ragione non stia mai da una sola parte, e che dunque il mio assioma sia sbagliato.

Credo che ci sia perlomeno una cosa infatti che accomuna me e una persona che – in buona fede – vota Berlusconi (a parte il fatto che condividiamo la chimica del carbonio): entrambi non sbagliamo. E soprattutto, gli italiani non sanno sbagliare.

E sbagliare è un’arte impegnativa.

Se riuscissimo tutti a sbagliare, ovvero a capire in cosa sbagliamo, e ad accettarlo serenamente, facendo un passo indietro, le cose credo ricomincerebbero a funzionare.

E loro potrebbero tornare a casa, ché sono stati al mercato negli ultimi dieci anni, e noi a portare la nostra roba al mercato, che le mele succulente che abbiamo raccolto a Milano questa primavera stanno per andare a male.

Viale al tramonto

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L’ho vista di lontano, mentre tornavamo a casa dal parco io, Peppe, Tim e William (con quest’ultimo Peppe intrattiene da quando avevano entrambi pochi mesi una regolare corrispondenza di botte, schianti e frignate).
Rigidamente curva, come fosse fatta interamente di vetro, arrancava trascinandosi una sporta modernissima, ultraleggera, dotata di un manico in alluminio da fare invidia ai rover della NASA su Marte, probabile regalo di un figlio sollecito e premuroso. La mia vicina, credo oltre i novanta, portati malissimo.
Mentre copriamo una cinquantina di metri riesce ad afferrare la borsetta, dopo aver sistemato la sporta in posizione eretta, appoggiato il bastone accanto al portone, e compiuto altre laboriose operazioni che non sto a riportare.
Fra me e Tim contiamo due passeggini, due borse e due bimbi.
Con un rapido e incerto scambio di battute Tim, inglese che parla un ottimo tedesco, capisce che la cariatide apprezzerebbe un aiuto da parte nostra. Dunque: io apro la porta e la tengo aperta (è a molla ovviamente) per far entrare nonna Austria, nel frattempo le due belve irrompono facendo quasi cadere la poveretta, che ha intrapreso le operazioni d’imbarco. Con un grido affatto mediterraneo, che mi vale l’appellativo di padre degenere, blocco le due belve sulle scale, mentre la vecchia avanza sul secondo gradino. Nel mentre Tim ha disposto una fila di passeggini così da facilitare l’entrata dei mezzi e dei bagagli.
Abbandono la vecchia al suo destino, fatto di gradini, corrimano e bimbi da evitare, e mi dedico ad aiutare Tim che sta imbarcando i passeggini con destrezza da Godzilla.
Chiudo la porta, prendo passeggino e borsa che mi competono e supero la vecchia (che già ha superato la prima rampa di quattro scalini e si appresta – battagliera – a sfidare la seconda, insidiosissima, di ben otto). Giungo all’ascensore: la macchina infame è un coerente prodotto della peggior cultura borghese.

Breve excursus polemico: a piano terra si apre solo con la chiave, e solo con essa, tenendola girata, è possibile farlo salire premendo in contemporanea il bottone del piano. Logaritmi che nemmeno Obama deve fare se vuole sganciare una bombetta atomica, e se hai una mano sola, infatti, il merdosissimo bottone del piano lo devi pigiare col naso. Per scendere invece, cioè per levarsi dalle palle, funziona benissimo e a gratis. In più scende sempre, autonomamente, a piano terra ogni volta che lo lasci solo per qualche minuto. Quando vengono ospiti, mi sento sempre a disagio per l’evidente mancanza di cortesia nei loro confronti arrecata dal mio ascensore. Ma vabbè.

Arrivo all’ascensore e apro la porta (che ovviamente ha una molla per richiudersi così potente che ci puoi tagliare un bue a metà). Con orrore realizzo che sarebbe poco carino andar su e lasciare la vegliarda a bocca asciutta. Tanto più che sta al mezzanino. E allora aspettiamo.

In meno di mezzora copre il corridoio e la rampa e, infine, giunge. Peppe già si succhia il dito in cerca di conforto.
Facilito le operazioni di ingresso tenendo la porta, e quando la vedo ormai autonoma, chiave alla mano, bastone appoggiato e dito (l’altro) sul tasto “M”, chiudo la porta.

Dopo un po’ di tempo, l’ascensore parte.

Sento che arriva al mezzanino, e premo la chiamata.

Dopo un po’ torna.

Apro la porta e ritrovo la vecchina, la chiave ancora nella toppa, che fra il mortificato, il fatalista e il divertito, mi dice: “È stato più veloce lui”.

La civiltà dello scooter (sull’arroganza)

A Firenze, complici un clima tutto sommato mite e un susseguirsi di amministrazioni comunali senza fantasia, fiorisce da qualche anno la civiltà dello scooter.

Questa possibile evoluzione della civiltà occidentale non prospera ovunque, grazie al cielo (nel senso del clima), ad amministrazioni più capaci, e forse anche a culture più evolute.

Un esemplare tipico di tale civiltà possiede un moderno scooter giapponese, di quelli col profilo da nave baleniera, lungo come una macchina, con una marmitta catalitica che fa vibrare cuori e cristallerie, dalla guida sportiva in posizione sgraziata, che regala grandi emozioni e artrosi a chi guida il potente mezzo (che ha una cilindrata da trattore a cingoli anni sessanta di marca cecoslovacca). Con questo elegante cetaceo della strada, il nostro (che chiameremo affettuosamente  Gastone) fende i flutti del traffico veicolare cittadino con nonchalance. Non vi fate ingannare dai miei fronzoli: i movimenti del mezzo non hanno nulla di aggraziato. Il buon Gastone, infatti, complice un assetto calibrato sul peggior autista reperibile in zona Yokohama, bauscula a destra e a manca, evitando pericolosamente tutto ciò che si trova in carreggiata per pochi peli, con una grazia da facocero. Questo semplicemente perché non sa guidare, nessuno glielo ha mai insegnato, nessuno si prende la briga di farglielo notare, e Gastone stesso, infine, è convinto di essere un asso delle due ruote. Bravi i Giapponesi, nulla da dire. Riuscire a far sentire Valentino Rossi un dramma della guida come Gastone non è cosa da poco, e si meritano le migliaia di euri che il nostro ha generosamente investito per l’acquisto dell’orrido mezzo (che chiameremo Moby in ossequio al meno gentile omologo). Per completare il quadro: Gastone vive e lavora a Firenze, ha un casco a padella che gli copre un decimo del cranio – rasato ma non perchè ha una incipiente e impietosa calvizie, ma perchè a lui piace così – e gli occhiali a goccia.

Ma il problema estetico, sia per quanto riguarda Moby che lo stile di guida di Gastone, è tutto sommato marginale.

Il vero problema è l’attitudine di Gastone alla guida, ovvero alla vita in generale. Gastone è infatti convinto di avere la Precedenza. Non in senso lato, né in senso metaforico o stradale: egli crede di avere precedenza sul suo Prossimo, ovvero su tutti.

Un esempio pratico: se un autista distratto si è fermato per fare attraversare una mamma con figli e sacchi della Coop a seguito, e a causa di questa grave debolezza si è formata una coda di macchine, Gastone se ne fotte. Con un colpo di reni (grazie a dio ben bilanciato da Moby, altrimenti Gastone formerebbe ora un grazioso fregio sullo spigolo dell’edificio prospicente la manovra) egli evita la coda, la sorpassa senza modificare la propria velocità, si infila fra la mamma – paralizzata dall’orrore – e il sacchetto delle verdure (che essendo di quella nuova sostanza biodegradabile che sa di popcorn si sfalda subito a causa dello spostamento d’aria), e prosegue il proprio cammino come nulla fosse.

Al semaforo, Gastone si infila fra le macchine, decora gli specchietti laterali con pregiate incisioni, e si piazza davanti a tutti sulla linea bianca. Se ci sono altri scooteristi, si infila fra di essi, altrimenti va direttamente sulle strisce pedonali, accomodandosi fra vecchine e passeggini. Dopodiché si accende una sigaretta, compone un numero di telefono e si infila il cellulare fra orecchio e casco. Quando scatta il verde, Gastone ha incastrato momentaneamente la sigaretta sulla leva del freno, e, mentre grida al vivavoce, sta cercando un indirizzo sul suo telefono intelligente (1). Gli scooter sono intanto tutti partiti, a parte altri due che si stanno sfidando a battaglia navale via dente-blu (2), la prima macchina è una Simca 1000 con al volante una vecchina, che sconcertata attende. Quelli dietro, che la sanno lunga e sono un po’ più navigati, attaccano a suonare tutto il loro disappunto. Gastone a questo punto perde le staffe: con una manata fa volar via il cicchino, congeda l’interlocutore telefonico con un secco “scusa, non hai idea di che stronzi ho dietro al culo”, re-incastra il cellulare fra orecchio e casco, si gira, manda affanculo la vecchina chiedendole – bicipiti al vento – cosa cazzo voglia (omettendo il congiuntivo – va detto), dopodiché sgassa e riparte.

Ora: avete mai visto tanta crudeltà – chiederebbero in un film di Mel Brooks?

Il fatto è che Gastone sa che il traffico di Firenze senza di lui collasserebbe in un attimo, ed in virtù di questa Conoscenza egli se ne fotte. Inoltre, nel caso ci fossero residui di perplessità circa tale atteggiamento, egli è più veloce, e dunque si sbriga prima, e non ha senso che aspetti.

Nessuna amministrazione fiorentina sino ad ora – sorprendentemente nemmeno l’ottimo Renzi che è bravissimo, nuovissimo e pieno di innovative idee (ad esempio tenere aperti i negozi il primo Maggio: ci avevate mai pensato voi? Io no: incredibile il Renzi), dicevo nessuna amministrazione comunale si è presa in alcun modo la briga, infatti, di pelare l’odiossissima gatta che è il traffico a Firenze, imponendo qualche iniziale misura impopolare – rischiando dunque, ma applicando un’idea politica almeno – per poi bearsi di un sistema, tipo quello Viennese, in cui non conviene pigliare la macchina, semplicemente. Da qui si potrebbe misurare con un grado piuttosto accurato l’incapacità e la pochezza dei politici della città del Rinascimento, ma insomma, non divaghiamo.

Questa attitudine di Gastone, purtroppo, non si limita alla sola guida. Ma anche qui, nessuno si è preso la briga di pelare questa gatta.

A Vienna, guidare è un’esperienza diversa. Ho trovato stranissimo percepire, in modo sempre più completo, come il traffico sia un habitat con molteplici dimensioni, che differiscono dal “tuo” traffico in sfumature e aspetti più corposi. Pensavo che fosse più semplice, tipo “a Vienna il traffico è più ordinato”, e banalità del genere.

In Austria, comunque, ho trovato, in strada e non, un’attitudine algida ma positiva – o forse rassegnata, chissà – nei confronti del prossimo. Se ti fermi in mezzo alla strada con la macchina (hai forato, ti si è spenta, t’è venuta voglia di fare una sveltina con chi ti sta accanto: quel che volete), la gente non suona quasi mai. Aspettano pazienti, e se vedono che va per le lunghe, al massimo cambiano corsia e proseguono signorili, senza sbracciarsi fuori dal finestrino, gridando improperi. Semplicemente pensano che, se stai rompendo loro i coglioni, tu lo faccia per un motivo serio, per un ottimo motivo che merita la loro comprensione, e mai che tu ti stia facendo beatamente i cazzi tuoi.

Se in Austria ti stai facendo i fatti tuoi sul marciapiede, vedi di farlo lontano dalle strisce. Automobilisti, camionisti, scooteristi e motociclisti, infatti, si immobilizzano senza indugio in prossimità degli attraversamenti pedonali, se un pedone minaccia, anche solo vagamente, di attraversare. E aspettano finchè l’intera operazione non è terminata. Nel caso tu indugi, ecco, magari in quel caso sì, dopo un cinque minuti ti fanno un colpetto di clacson, così che tu sappia (magari lo ignori – a me è capitato) che loro stanno aspettando che tu attraversi, e che se non vuoi attraversare, basta che tu ti allontani dalle strisce, altrimenti loro devon star lì. Certo, poco elastici, ma volete mettere la bellezza di attraversare la strada sulle strisce senza guardare?

Un altro piccolo particolare: in Italia scatta prima il verde per le macchine, e poi quello per i pedoni. In questo modo, il pedone che vuole attraversare è costretto ad aspettare che le macchine che svoltano siano passate, perché son partite prima di lui. In Austria è il contrario, così che le auto e gli scooter che devono girare, trovano già una fila di pedoni che, seraficamente (e secondo me anche un po’ strafottenti), attraversano, e devono aspettare loro.

Insomma, si ha la sensazione che il più “forte” debba dare la precedenza al più “debole”, ovvero più veloce vai, meno hai bisogno di precedenze.

Come il buon Gastone. Uguale.

l'immagine non è proprio pertinente, ma insomma, è carina!


(1) smartphone egli lo chiama.

(2) bluetooth, in inglese nel testo.

Le poppe delle donne viennesi

Alcuni mesi fa il mio amico A. è stato a Vienna. Tornato, mi ha redarguito, un po’ risentito, perché non lo avevo mai edotto circa le prosperose poppe delle donne austriache.
Al che sono rimasto perplesso: come sanno le persone che mi conoscono, coltivo dall’asilo una felice passione per una delle più sottovalutate opere d’arte presente a questo mondo, ovvero le poppe delle donne. E, si badi bene, le poppe come valore in sé, indipendentemente – al contrario di come si narra in taluni epos metropolitani – dalle dimensioni. Al massimo la forma, ecco.
Dicevo, sono rimasto piuttosto perplesso perché, in tanti anni di pendolarismo amoroso nella città asburgica, mai mi ero soffermato su quel particolare. E dunque mi sono rattristato, adducendo la cosa alla vecchiaia.
Arrivato a Vienna, mi sono accorto con meraviglia che effettivamente è successo qualcosa, alle poppe delle donne viennesi. Sono diventate tutte decisamente grandi.
Ho comunque tenuto la cosa per me, ma non mi sono potuto esimere dallo studio del fenomeno.
Anzitutto, non si tratta della metamorfosi che ha interessato le nostre donne italiche, ovvero la triste moda del reggipoppe imbottito e putrellato: pur avendo tale costume l’indubbio pregio di stimolare come un tempo la fantasia di noi estimatori (“chissà come saranno fatte davvero, oltre quella coltre…”), è inevitabile che si produca un fastidioso effetto di omogeneizzazione, per cui le donne finiscono per avere le poppe tutte della stessa forma bugnata, cambiano solo le dimensioni. Bene, non si tratta di questo: permane infatti intatta una notevole biodiversità.
Ho dunque pensato ad un rimescolamento genetico – tanto inviso sarebbe stato ai padri austriaci dell’Inter-guerra – dovuto all’immigrazione balcanica e turca, ma non avviene certo in un paio d’anni, e non in modo così repentino.

Poi anche la mia dolce metà se n’è accorta, e ha sollevato il problema. Insieme, abbiamo elaborato questa tesi: le donne austriache sono procaci, e lo sono sempre state, ma essendo piuttosto flaccidine di costituzione, la cosa non è mai emersa in in tutto il suo splendore, vuoi anche per la sobrietà dei costumi austriaci. L’avvento di nuovi reggiseni, putrellati ma non imbottiti, unitamente a mode un po’ più disinvolte, spiegherebbero il tutto.

Per numerosi motivi, mi trovo purtroppo impossibilitato a pubblicare foto che possano corroborare questa tesi.

Gente che c’è rimasta sotto


"Il miglior giornale per i migliori lettori"

Emancipazione

Alla fermata del tram campeggia questa pubblicità. La traduzione (di google translate, ma c’ero arrivato anche io – figuratevi) suona pressappoco così: “Il miglior giornale per i migliori lettori”. Naturalmente, dietro al giornale ci immaginiamo un Francesco Giuseppe nel fiore degli anni che legge soddisfatto.

 

Un po’ di giorni fa, ha tirato le cuoia Otto d’Asburgo-Lorena, erede virtuale al trono. Non vi dico i servizi, i giornali, la gente: tutti tristi, tutti implicitamente a rimembrare i giorni lieti e i fasti dell’Impero.

Questi disgraziati, effettivamente, da che erano il cuore dell’Europa, una corte imponente (per quanto retta spesso da clamorosi inetti), che difendeva l’Europa contro le orde turche (che si pulivano sorridenti il culo con l’acqua del Danubio alle porte di Vienna, magari a monte della città), che ha prodotto Mozart (e le relative palle), la Sacher, Klimt e quant’altro, ecco, da tutto questo si trovano (dopo aver perso una guerra mondiale, essersi fatti volontariamente annettere dalla Germania nazista, perso una seconda guerra) ad essere un rutto sulla cortina di ferro, a penzoloni fra stati fantoccio del patto di Varsavia (badate che Vienna è davvero ad est), con a due passi un’unione sovietica con la sindrome da invasione facile.
Per uscirne, optano per la porta di dietro: noi scompariamo, voi ci lasciate in pace. Dell’Austria non se ne sente più parlare, a parte il delizioso siparietto inaugurato – e chiuso – da Haider, per altro recentemente.

E io ci credo che son sempre li a ricordare i bei tempi che furono, a disprezzare i tedeschi (che comunque hanno abbandonato al loro destino, dopo esserne stati co-artefici), ad andare in giro vestiti da matti con le parrucche tipo Mozart: ora è un paese per pensionati.

Per altro mi dicono che sia davvero meta di emigrazione senile per via del fatto che qua ancora si può fumare un po’ dappertutto e la gente non ti rompe le balle a riguardo (men che mai i figli lasciati in patria!).

Bei tempi

Da http://www.oocities.org/historyofaustria/austriamaps1.html

Non volersi bene (ovvero far le cose di malavoglia – ovvero a cazzo di cane)

lavoro di fino

un lavorino di fino

Questa meraviglia è il frutto di una mattinata di lavoro di un solerte ed incomprensibile caldaista viennese.

Ma partiamo dall’inizio.

La nostra padrona di casa (Frau Pollack) pattuisce con noi una cifra per l’affitto, un ottimo affare per la casa, che però non può essere affittata a molto perchè non “renoviert”. Poi scopre che deve rifare la cucina, e da signora la rifà. Cerca di tirar su il prezzo, ma la Molino tiene duro, e accetta solo un piccolo rialzo. Qua se fai un lavoro alla cucina, devono venire i marcantoni della Wien Energie a controllare che sia stato fatto a modino – mica cazzi. E dopo un mese e passa dal lavoro (potevamo essere morti per le esalazioni, ma insomma non ci formalizziamo) arrivano due tizi – che svegliano tutti perchè sono le 7.17. I due, alternando prove di grande spessore tecnologico ad empirismi alla MacGyver sentenziano che le emissioni gassose della caldaia superano la soglia di parecchio; ma parecchio. Insomma la spengono, dicendo che loro la devono spegnere. Però ci fanno anche vedere come si fa a riaccendere (sono cazzi nostri se muoriamo, beninteso, ma hanno il buon cuore di farci morire puliti). Provvederanno loro a dire all’amministratrice condominiale che provveda. E se ne vanno.

Il mattino dopo arriva un tizio. In casa ci sono io, e, a gesti, ci comunichiamo a vicenda che non capiamo un cazzo l’uno della lingua dell’altro. Per rimarcare l’abisso che ci separa, l’ometto (che ricorda stranamente un orsetto lavatore, un operoso procione) rifiuta anche il caffè (ancora mi vengono le lacrime al pensiero: un caldaista che mi rifiuta un caffè – un caldaista viennese che mi rifiuta il mio espresso arabica coop fatto con la bialetti: selvaggio). Comunque mi fa capire che lui la caldaia non la può riparare perchè è di marca a lui non cognita. Dirà alla compagnia di mandare qualcun’altro. Bah. E va via.

Arriva un altro tizio, smadonna un po’, e poi che dice che la caldaia è rotta e va cambiata. Per corroborare la diagnosi, prova ripetutamente – con uno sguardo che cerca il mio assenso – ad accenderla senza successo. E se ne va.

Il mattino dopo arriva una Frau Pollack provata, ma sempre signorile. Trova “komisch” che la caldaia abbia smesso proprio ora di funzionare. Era vecchia, ma insomma. L’enorme uomo della caldaia (è uno mai visto: lui il caffè lo ha preso nonostante abbia delle extrasistole che gli tremano le tonsille – mi fa capire e io capisco) ribadisce, con eloquenti gesti fatalisti, che non c’è altro da fare che cambiare la caldaia. La signora si conficca una forchetta nel palmo, inspira, e dà l’assenso. Siamo pur sempre un paese civile: inquilini che puzzano non se ne vogliono. E lascia amabilmente la scena. (in realtà sono sinceramente grato alla Frau Pollack, che ha speso una fortuna ed è stata sfortunata, ma che si è comportata in modo oltremodo urbano).

Ecco, io dico: un paese che ti segue, veglia sui tuoi sonni, controlla che tu non schiatti per le esalazioni o che tu faccia saltar per aria una palazzina, in cui non si lasciano gli inquilini senz’acqua calda nemmeno d’estate (se così la vogliamo chiamare), in cui c’è dialogo (al di là del grazioso siparietto col caldaista, pensate all’inusuale colloquio fra il gestore locale di energia e l’amministratrice condominiale), ecco, in un paese così alla fine però non ci si vuole bene.

O che si fa un accrocchio di tubi in quel modo, con le mattonelle scassate a cazzo di cane, tutto sporco, con la scatola dei collegamenti che penzola? Questo si chiama non volersi bene, o per lo meno non abbastanza, e qui lo fanno sempre.

Vedi queste facciate linde, immacolate, perfette, poi ti avvicini, e lo stipite della finestra è messo storto, con la vernice che ha smerdato il muro.

Queste case strafighe, con i mobili che paiono tutti pezzi unici, il parquet che ci puoi trascinare un bebè per le gambe che il culo non gli si graffia nè irrita, e poi le mattonelle del cesso sono sbregate per far sortire il tubo che va al termosifone, con tutta la polvere e i lanicci che fan festa nel buco.

‘Sti omìni vestiti bene, distinti, col fazzoletto che esce dal taschino, che ti mozzano il fiato per il puzzo di sudore (e via, se lo dico io buona camicia a tutti).

La gente qua si tratta bene, ma con la testa è altrove, non ti vogliono bene per davvero.

Tiè

Uffici pubblici, la bestia nera di ogni italiano.

Code, gente che piange, suda, si scaccola. Impiegati infernali, che ti deridono, ti ignorano, omettono di dirti che hai del prezzemolo fra i denti. Vecchini e vecchine che saltano la coda facendo finta di non aver capito, e poi ti picchiano con l’ombrello.

A me, comunque, non è mai capitato. Sarà che sono fortunato, sarà che cerco sempre di essere gentile, e se perseveri nel sorridere, anche la peggiore sfinge alla fine si scioglie – specie se condisci il tutto con qualche forma di captatio benevolentiae messa a modino. Ho sempre trovato personcine carine, efficienti, spesso simpatiche. Alcune volte ci si è salutati con affetto, alla fine dello show. Comunque la burocrazia è burocrazia, e per quanto funzioni bene in Toscana, resta sempre una cosa complessa fatta da italiani, quindi in generale a cazzo di cane.

In Austria ovviamente gli uffici pubblici funzionano bene. Non ci sono praticamente code, gli impiegati sembrano appena usciti dal corso di yoga (cosa per altro possibile – magari organizzato e pagato dal comune), e via così. Però son precisi.

Bene, per registrare Peppe quassù, bisogna dimostrare che è nato, e che noi siamo i genitori. E va bene la fiducia, ma ci vu0le un certificato internazionale, così possono capire anche gli austriaci. Panico.

E invece, dopo una telefonata della mia dolce metà al comune di Firenze – durante la quale si è commossa più volte per la gentilezza e la solerzia – capiamo che basta una mail (dico: UNA MAIL) con allegata una richiesta firmata scannerizzata, il documento sarà poi disponibile, e lo può passare a prendere chiunque abbia la delega a farlo. Rimango impietrito, ma obbedisco.

Dopo un breve scambio di mail, otteniamo – senza chiederlo!- che ci venga addirittura spedito direttamente a casa in Austria, dove arriva dopo pochissimi giorni. Lacrime.

Per amor di verità allego lo scambio di mail con la signora del comune di Firenze, cui va la mia gratitudine.

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From: “TROMBI Giacomo” <XXX@XXXX.XXX>
To: <XXXX.XXXX@comune.fi.it>
Sent: Wednesday, July 27, 2011 10:35 AM
Subject: certficazione internazionale di nascita

Salve,
obbediente alla indicazioni di mia moglie, vi invio in allegato la richiesta del certificato internazionale di nascita che ci occorre per nostro figlio, sperando di aver azzeccato tutto!

vi chiederei di farmi sapere se avete ricevuto il tutto, e nel caso se avessi omesso qualcosa.
grazie mille
Giacomo

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From: XXXX XXXXXX <XXXX.XXXX@comune.fi.it>
Subject: Re: certficazione internazionale di nascita
Date: 27 July, 2011 15:34:23 GMT+02:00
To: TROMBI Giacomo <XXXX.XXXX@XXXX.XXXX>

Buon giorno, le ho predisposto la spedizione per posta così potrà riceverlo direttamente alla sua abitazione.
Cordialmente XXXX

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From: “TROMBI Giacomo” <XXX@XXXX.XXX>
To: <XXXX.XXXX@comune.fi.it>
Sent: Wednesday, August 03, 2011 10:20 AM
Subject: Re: certficazione internazionale di nascita

Salve,
il documento è felicemente arrivato: volevo ringraziarla per la gentilezza e la solerzia, son cose che – se ce ne fosse bisogno – fanno venire voglia di tornare in Italia!
a presto

G

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From: XXXX XXXXXX <XXXX.XXXX@comune.fi.it>
Subject: Re: certficazione internazionale di nascita
Date: 03 August, 2011 13:18:14 GMT+02:00
To: TROMBI Giacomo <XXXX.XXXX@XXXX.XXXX>

Grazie, cerco di fare del mio meglio e soprattutto fa piacere sentire che non solo all’estero funzionano le cose.

A presto

burocrazia italiana

efficienza italiana: tiè