Il mare che non c’è più

Quand’ero piccolo il mio libro preferito era l’atlante. Fra i mille luoghi che mi attraevano, c’era un posto che mi affascinava molto, un lago immenso, che ricordava vagamente una mela con picciolo e fogliolina. Le sue acque, anziché in azzurro come tutti i mari ed i laghi normali, erano di un rosa sporco: il mare di Aral, grande pressappoco come il lago Vittoria, ma molto più affascinante ai miei occhi.

Non so per quale motivo quel lago mi abbia sempre attirato: saranno state le acque salate, rese negli atlanti in rosa o con dei puntini, che lo rendevano speciale e simile ad un mare; forse quel suo esser sperduto in zone aride, nel mezzo dell’Asia.

Recentemente ho visto una foto satellitare del lago d’Aral, e sono rimasto di stucco. Anzitutto non è più un lago, ma sono due, divisi da una dorsale bella dritta. E seconda di poi, è grande nemmeno un terzo di come lo sapevo grande io, di come me l’avevano sempre dipinto l’atlante – anzi gli atlanti – e la varie cartine che avevo visto.

Wikipedia mi ha svelato la catastrofe: tutti presi dalla frenesia e dal delirio di onnipotenza (che li aveva spinti ad esempio a mettere a coltura in soli tre anni una superficie grande come l’Italia, per la prima volta nella storia, nelle steppe centroasiatiche) i sovietici avevano deciso di usare l’acqua degli immissari del lago per irrigare i terreni circostanti, strappati alla steppa e avidi d’acqua. La colossale opera – fu chiaro fin da subito – avrebbe prosciugato seriamente il lago. I sovietici pensarono che in questo modo avrebbero corretto un grossolano errore della natura, che aveva messo un inutile lago salato, le cui acque erano inadatte a scopi agricoli, in mezzo alle palle del gigante: meglio così, al posto del lago sarebbe rimasta terra fertile, e le terre circostanti sarebbero divenute rigogliose grazie alle acque sottratte al lago.

Sfortunatamente non andò esattamente così. Il lago si è quasi prosciugato, è vero. Ma al posto è rimasto un deserto di sale, nella cui crosta sono intrappolate migliaia di tonnellate di pesticidi e fertilizzanti restituiti dai campi sovietici, pompati come atleti della DDR per sfamare la fame del PCUS. E la desolante e desolata landa è velenosa anche per l’area circostante, perché i venti strappano le sostanze nocive al sale, e le portano come polvere in giro.

Ora del porto della città di Aral, che ancora dà il nome a quel che resta del mare di un tempo, restano i moli, strane impalcature nel niente, e qualche vecchio peschereccio appoggiato su di un fianco.

Ebbene, ogni volta che penso al lago d’Aral, mi vengono in mente le parole desolate di Lucio Dalla in “Com’è profondo il mare”:

 

[…]
Certo
Chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare

Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare

 

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